Le Province dal fannullismo alla ricerca dell'efficenza.
Possiamo sicuramente affermare dopo la firma del Ministro Madia il 15 settembre scorso sul decreto che stabilisce i criteri di mobilità del personale delle Province che l'obiettivo del governo Monti e di quelli che si sono succedutisi è stato raggiunto. Colpire il dipendente pubblico. Colpire il sistema pubblico. Il primo esodo di massa nella storia del pubblico impiego si sta compiendo. Si sta sperimentando la prima dismissione di un ente e dei suoi servizi e finalmente l'idea che si può licenziare anche un dipendente pubblico.
Entro il 31 ottobre 2015, 18.000 dipendenti delle Province saranno esposti in un portale e messi in vendita al migliore offerente.
La vicenda parte con l'attacco diretto ad un sistema amministrativo per il quale i mass media fanno fatica a capirne le funzioni. Le Province vengono indicate come quei luoghi della politica che risultano un doppione nell'ambito della pubblica amministrazione. Occorre tagliare le province quindi per tagliare i costi della politica e le poltrone per i “soliti noti”.
In uno studio della Università Bocconi presentato all'assemblea dell'Upi il 6 dicembre 2011 si evidenziano però le prime contraddizioni per chi aveva scelto le province come luogo del fannullismo e della spesa folle della politica: “ La spesa delle Province per la rappresentanza democratica assommano a 122 milioni di euro l'anno: l'1,4% del totale della spesa corrente totale”. “Quelli che sono definiti come i costi della politica assommano quindi a 113,63 milioni di euro l'anno (indennità e rimborsi a consiglieri e assessori)”.(Anno 2010 Fonte CERTeT su dati SIOPE).
Quasi subito, per evitare malintesi e confermare gli obiettivi si è passati a dire che comunque questi enti sono inutili.
Evitando in questa sede di raccontare la storia di 150 anni ed evitando anche la rappresentazione di come a livello europeo insistano sui diversi territori enti di questo genere, cioè di carattere intermedio ed operativo finalizzati al raccordo tra le strategie politche delle regioni e le difficoltà spesso tecniche di lettura del territorio da parte dei comuni, siamo di fronte alla più grande bugia che è stata formulata e data in pasto al paese.
Sempre dalla relazione citata prima scopriamo che, “La spesa corrente delle province pesa per il 4,5% sul totale delle spese correnti di regioni (72,7%) ed enti locali (22,8%)” e che, “Cinque sono le funzioni che assorbono la maggior parte della spesa generale. Due funzioni, la gestione del territorio (2,5) e l’istruzione pubblica (2,2), hanno una spesa sopra i due miliardi di euro. I trasporti (1,5) e il sostegno allo sviluppo economico (1,5) assorbono una spesa di 3 miliardi di Euro. La tutela ambientale, comporta una spesa intorno agli 800 milioni di euro l’anno. Altre tre funzioni, settore sociale, cultura e beni culturali, turismo e sport, assorbono nel loro insieme altri 850 milioni di euro. La funzione di amministrazione, gestione e controllo, comporta una spesa di 3 miliardi di euro, il 26% del totale.
Le difficoltà enormi che fino ad ora sono state trovate dal governo per portare avanti la riforma partono dalle brevi considerazioni fatte fino ad ora. Una su tutte: che non è vero che le Province non erogano servizi.
L'aggravante è che ad oggi assistiamo alla cancellazione consapevole di un livello di partecipazione democratica che costava pochi euro e nello stesso tempo all'abbattimento di un livello di controllo del territorio. Ad oggi per esempio, non sappiamo se esisterà una Polizia Provinciale (che si è sempre occupata di controlli ambientali), mentre nel frattempo la Polizia forestale viene cancellata e le funzioni delegate alle province come tutte le valutazioni, autorizzazioni, ed i controlli di carattere ambientale compresa la caccia e la pesca vengono accentrate in un solo ente, la regione, tagliando fuori l'ente che per le sue caratteristiche intrinseche conosce il territorio ed ha una dimensione necessaria al suo controllo operativo.
Si passa quindi dal pensiero della efficienza e della razionalizzazione della spesa alla dimostrazione di un'altra volontà. E' dopo la legge di riforma di Delrio, con la legge di stabilità 2015 che finalmente si scopre e si mette in evidenza il vero obiettivo della riforma. La legge Delrio nonostante la fretta e l'assoluta inconsapevolezza della scelta di ridimensionare le province comunque tenta di difendere tutti i posti di lavoro nonché le competenze e le professionalità presenti in questi enti. La finanziaria 2015 fregandosene dei criteri decide di tagliare alle Province il 50% della spesa del personale delle stesse, tagliando ancora per 11 mld di euro i bilanci già gravati da altri tagli nel 2014 compresi i soldi necessari al famoso bonus degli 80 euro che provengono per la loro parte dal bilancio provinciale. Su tutto questo interviene addirittura la Corte dei Conti sostenendo che lo stato non può mandare fallito se stesso e non può prelevare tutte queste risorse senza un minimo di coerenza economica. Ma è quindi il personale dipendente facente capo all'ente provincia che improvvisamente si trova a diventare la metà. Si interviene cioè a gamba tesa su una riforma sbagliata ma che comunque stava muovendo i primi passi, con una sua logica, e si tagliano risorse correnti per finanziare le politiche governative.
Perchè le Province oggi sono un tavolo di crisi: innanzitutto perché vengono massacrati i servizi che operano sul territorio, come le strade e le scuole, già martoriate dai pochi soldi che su di esse vengono investiti, e come il controllo ambientale sulle imprese, sulla difesa del suolo e del paesaggio, sulla messa in sicurezza degli edifici per il terremoto.
Sono a rischio la manutenzione e messa in sicurezza dei circa 100 plessi scolastici che gestisce la provincia in Umbria, nonché i circa 3000 chilometri delle strade su cui opera. Ci troviamo di fronte ad un paradosso laddove i fannulloni sarebbero coloro che si occupano della sicurezza dei cittadini dei loro figli o del futuro sostenibile della tutela del territorio di questo paese.
Sono a rischio circa 650 posti di lavoro tra Perugia e Terni, che in parte dovranno essere riassorbiti dal rientro in regione delle funzioni delegate a suo tempo ed esercitate oggi dalle province, come riassorbiti dovranno essere il settore delle politiche attive del lavoro e della formazione nonché delle strade regionali. E' tutto questo dipenderà dalle risorse economiche che la regione riuscirà a mettere in campo.
Numerosi dipendenti e numerose famiglie rischiano di diventare un peso per questa comunità, mentre per il governo diventano carne da macello da mettere in un portale internet per poter essere venduti al migliore offerente. La parola magica è la mobilità. Attraverso la mobilità (che non è quella condizione del dipendente licenziato, operante nel settore privato), cioè il trasferimento dei dipendenti provinciali verso regioni e comuni, oppure presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, le università e gli enti pubblici non economici, che si concluderà la questione con conseguenze dirette sui servizi pubblici. Un primo assaggio dello smantellamento della democrazia e partecipazione in questo paese.
Giovanni Roccatelli,
segretario aziendale Provincia di Perugia
Cgil-Funzione Pubblica
Giovedì
24/09/15
10:16
Il segretario della CGIL pone molte questioni che andrebbero approfondite senza preconcetti dettati dall'abitudine che li ha radicati nella nostra cultura.
Ne evidenzio solo due che lascio ad approfondimenti di eventuali contributi dei lettori.
1° é giusto che ci sia una disparità di trattamento ( e di tutele), tra lavoratori pubblici e quelli privati?
2° Perché i servizi che oggi vengono erogati dagli Enti pubblici (male e con inefficienze note a tutti) devono essere erogati proprio da Enti pubblici e dalle loro controllate e non invece affidati, tramite appalti, alle imprese che già operano sul territorio? Limitandosi gli Enti ad un mero ed efficace controllo?
In questa ottica anche la "indispensabile" funzione delle Provincie (e dei suoi funzionari) e di molti dei servizi oggi erogati da molti Enti pubblici assumono un'altra prospettiva.
Giovedì
24/09/15
12:14
La questione della riforma della P.A. è estremamente complessa e presenta contraddizioni e ccriticità. Su questo non c'è dubbio, come è indubbio che per dipendenti pubblici fino ad oggi in organico nelle Provincie la riforma comporterà disagi e sicuramente anche alcune disparità di trattamento.
Tuttavia, tralasciando in questo momento i giusti interrogativi posti nel precedente post dall'ing. Ceci che comunque meritano di essere approfonditi, mi vorrei soffermare su un aspetto che trovo intollerabile dell'intervento del segretario aziendale Roccatelli della Cgil-funzione Pubblica, ovvero equiparare la riforma in atto ad uno smantellamento della democrazia.
A parte lo squallore, si proprio lo squallore, di utilizzare la democrazia (la più grande conquista sociale moderna) per questioni attinenti la difesa contrattuale e salariale di una categoria specifica (dimostrando di non sapere proprio cosa sia la democrazia dato che la riconduce e la misura esclusivamente in riferimento ad una parte e non all'insieme della comunità di questo paese) e la totale ignoranza che dimostra sui compiti e sulla legititmazione delle istituzioni democratiche con queste sue affermazioni del tutto surreali, mi preme ricordare che la mobilità non è una forma di deportazione e che la ricollocazione distributiva del personale pubblico sulle base delle esigenze di funzionamento degli enti che lo compongono - al netto dei limiti che ogni azione comporta, a partire da sue eventuali parzialità ed errori - è un'operazione che i dipendenti pubblici per primi dovrebbero auspicare (anzichè contrastare) se davvero il loro è un servizio al paese. Evidentemente Roccatelli non riesce a capirlo (in buona compagnia di una parte importante del sindacato e dei partiti cosiddetti "di sinistra". Purtroppo) ma è proprio con questo atteggiamento, con l'assunzione di queste posizioni rigide ed immotivate (quando non palesemente assurde) che più si danneggia proprio chi si vorrebbe rappresentare (i dipendneti pubblici). Ma forse non è una questione di mancanza di lucidità quanto il cinismo di chi si limita a parlare "alla pancia" della propria categoria cavalcando le sue (legittime) paure, difendendo l'indifendibile (anche se sa bene la scelta del "muro contro muro" è la più deleteria per chi rappresenta) perchè ciò gli consente di mantenere ancora per un po di tempo un ruolo ed un "beneficio" (anche in termini di distacchi, carriera, etc.) che in alcun modo merita e che dovrebbe spettare a persone più capaci e lungimiranti di lui.