di Sandro Roazzi

Primo maggio, una festa anche per tornare alle origini. Lʼinizio fu la conseguenza della prima rivoluzione industriale, fra ideologie nascenti ed un umanesimo socialista...in marcia. La scelta di affermare le ragioni del lavoro, come sappiamo, non si vestì allʼinizio da...festa. In realtà era un capitolo di una lunga lotta che si estendeva oltre i confini nazionali, oltre lo spartiacque fra la giovane classe operaia e la massa delle popolazioni contadine. Fu allora che la parola solidarietà divenne un valore del movimento operaio.
Cʼè spazio per un internazionalismo dei lavoratori nel terzo millennio? Dovrebbe esserci e non solo perché il lavoro sta cambiando.
I robot e le reti che sostituiscono lavoro umano non sanno neppure cosa vogliono dire parole come confini e non hanno bisogno in fabbrica di sindacati e partecipazione; la finanza spadroneggia da tempo nella globalizzazione, nella quale ha fatto un nido inviolabile.
Per non parlare dei colossi imprenditoriali che hanno fatto dei mercati, da tempo, un enorme gioco del monopoli.
A subire sono le organizzazioni dei lavoratori, che non riescono più a ridare forza e motivazioni alle loro rappresentanze internazionali, che ci sono ma sembrano dei fantasmi in un castello che è abitato da padroni indifferenti alla loro presenza.
E non è solo un problema ‘politico’, ma culturale: il primo nodo riguarda il come inventare lavoro nel futuro non solo per evitare che il consuntivo fra occupazione perduta con la quarta rivoluzione industriale - che in realtà si diffonde ovunque nel tessuto economico - e quella realizzata sia negativo, costringendo soprattutto le giovani generazioni ad accontentarsi di un destino fatto di lavoretti e precarietà. Può un sindacato restare fuori da questa ricerca?
Il secondo nodo è collegato al primo: come impedire che le diseguaglianze si cristallizzino, con la conseguenza di veder emergere aristocrazie del lavoro ristrette, suddite dei dettami finanziari, individualiste e in grado di condizionare e farsi condizionare dalle classi dirigenti. Nuove caste, nuove esclusioni.
il terzo nodo investe il tipo di società che si vogliono costruire e per le quali servono progetti che oggi latitano, basta guardare alle incertezze che attraversano l’Europa.
Ma delle origini andrebbe recuperato un valore che oggi appare disperso: quello dellʼunità. In Italia la fine dei partiti della prima Repubblica e delle ideologie avrebbe potuto spianare la via per un percorso di forte unità. Fino ad ora così non è stato, mentre si è cercato di delegittimare le organizzazioni sindacali ben oltre i loro ritardi. Il movimento sindacale ha tenuto, sia pure a fatica. I molti contratti stipulati in questi mesi dimostrano che esiste una vitalità ancora importante. Ma la migliore risposta alle critiche resta quella di perseguire con determinazione la strada dellʼunità. Una via ancor oggi popolare e che potrebbe riavvicinare i giovani alla proposta sindacale. Una via che significherebbe anche impegnare la politica su terreni progettuali che ha abbandonato.
In Europa non ci si può però limitare ad alleanze burocratiche. Se i populismi hanno addentro ai polpacci le democrazie europee è anche perché è mancata una reazione unitaria dei sindacati europei, troppo lontani uno dallʼaltro nella tutela degli interessi di casa propria.
Unità e solidarietà tornano ad essere insomma una possibile fondamentale guida per evitare la decadenza, le divisioni, la marginalità. E per non mancare lʼappuntamento con la seconda e complessa fase della globalizzazione.

Costruire le premesse per obiettivi tanto ‘alti’ è già unʼimpresa. Ma sarebbe un grande servizio reso a quei valori che hanno fatto nascere tanto tempo fa ovunque la volontà di lottare per ottenere conquiste di civiltà. E che si sono battuti contro le guerre, il terrorismo, le dittature. E che oggi aspettano di essere rimessi in gioco, in grado come sarebbero di ridare un nuovo significato allʼazione sindacale e, perché no, anche al primo maggio.

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