di Stefano Ragni 

I problemi che affliggono oggi la Stranieri hanno radici lontane e concernono soprattutto la capacità dei perugini di rendersi conto di che patrimonio abbiano nutrito tra le proprie mura. Facile alla critica, sornione, “sussurrone”, come sosteneva Napoleone, all’occorrenza torvo e pavido, il perugino medio, oltre che a mangiarsi con gli occhi le ragazze straniere e a esigere dagli studenti affitti piuttosto esosi anche per indecorosi bugigattoli, non ha mai ostentato orgoglio per una istituzione che il mondo intero ha conosciuto e apprezzato. Salvo poi a usufruire della ricaduta economica di tante presenze, che spesso si trattenevano tra le mura etrusche anche per sei mesi di corso. Eppure basta sfogliare una celebre pagina del Viaggio in Italia di Piovene, per apprezzare quei valori internazionali che, nel 1955, erano sotto gli occhi dei viaggiatori e dei turisti, stupiti, per non dire ammirati di vedere per le storiche strade del borgo miriadi di ragazzi di tutte le lingue che, tra corso Vannucci e via Ulisse Rocchi sciamavano verso un luogo di aggregazione di incomparabile bellezza, una vetrina di arte, lingua e cultura. Tra quelle aule, appena sgombrate dagli inglesi della Army School of Education, nel giugno 1946 si stava consumando l’ennesimo episodio di incomprensione tra ateneo internazionale e tessuto cittadino.

Non il primo, e purtroppo, non l’ultimo.

Questi i fatti. Nel numero 141 del quotidiano del mattino “Il giornale dell’Umbria”, datato 19 giugno, in Cronaca di Perugia, in alto di spalla, si legge un titolone:

In difesa di una creatura nostra.

L’Università per Stranieri sarà trasferita a Roma?

Ottimo risultato delle liti in famiglia. Un poco di obbiettività sulla questione dell’autonomia e sulla dizione di “università”. E perché non chiudere allora anche i Musei Vaticani e le Officine di Terni? Uomini di cultura, anche se soldati, non cessano di essere uomini di cultura

Il problema era, ovviamente, come collocare questo grande cubo neoclassico dell’antica dimore degli Antinori nel paese appena sbocciato alla democrazia: pesava, su palazzo Gallenga l’eredità fascista che Aldo Capitini, commissario straordinario dell’ateneo internazionale, stava alacremente scrostando.

Per propiziare un passaggio dal comando inglese all’amministrazione civica il colonnello Vaughn, il direttore della scuola di lingue dell’VIII Armata britannica aveva anche promosso un sodalizio di cittadini che rilevasse, sotto l’egida di Capitini e del suo discepolo, il maestro Francesco Siciliani, quella attività di concerti che aveva visto, per almeno due anni, sedere sulle scomode panche dell’aula magna di palazzo Gallenga, militari inglesi e melomani perugini. Era anche un gesto di riconciliazione tra i “perfidi albionici” e italiani “vinti e conquistati”: la musica, come fragile e sensibile elemento di collegamento tra il vecchio e il nuovo.

E che il nuovo fosse di sostanziale importanza lo si poteva leggere nella prima pagina del citato quotidiano che titolava:

«La Corte di Cassazione ha sancito la definitiva vittoria della Repubblica. Concordia per la rinascita della Patria».

In un momento così solenne la bega sulla Stranieri era una puntura di spillo, ma qualcuno l’aveva inferta. Il 9 giugno di quella tarda primavera, nell’aula magna del palazzo in cui i fascisti avevano installato un ventennio prima un osservatorio privilegiato nelle concitate fasi della preparazione della marcia su Roma, la democrazia perugina era stata salutata dal suono dei neonati Amici della Musica. L’associazione, modulata con progressive stratificazioni da Vaughn, da Capitini e dal maestro Siciliani, veniva affidata alle mani che si riveleranno sapienti di donna Alba Buitoni, anche lei alla ricerca di una nuova veste “democratica”. Suonò il Quartetto Italiano, un complesso la cui straordinaria affermazione nel mondo proietterà una luce quasi aurorale di questo concerto inaugurale. Seguirà il 16 un concerto del basso Nicola Rossi Lemeni e, il 23 la straordinaria affermazione di un raffinato musicista quale era già Roman Vlad, portatore dei nuovi valori artistici della dodecafonia e dell’europeismo.

Ma probabilmente ci voleva altro che la musica per distogliere i perugini dalle loro esiziali inimicizie intestine.

L’articolista, che si firma n.s., non fa sconti alla descrizione dei termini della tenzone:

«Succede sempre così: a furia di litigare in famiglia, scambiandosi accuse e qualcosa sul tipo l’un l’altro, a furia di urlare che tutta una cosa non va così perché deve procedere nel modo che desideriamo noi, a furia di affermare che la Università per Stranieri è inutile o sommamente utile, è da assorbire o da mantenere integra nella sua costituzione autonoma, è da riformare nella sua dizione “Università” perché non è una Università; a furia di bisticciarsi in famiglia, ecco cosa minaccia da vicino questa che è una istituzione della nostra città, e di cui tutti andiamo orgogliosi (e questo checché se ne dica o si desideri credere): poiché i progetti sull’Università degli Stranieri sono contrastanti, perché al Ministero della Pubblica Istruzione non si sa cosa fare né a chi dar ragione, ecco che, salomonicamente, pare che nella Capitale avrebbero deciso il trasferimento dell’Università per Stranieri a Roma. Dinanzi a un tale pericolo che incombe su questo Istituto di Cultura della nostra città non possiamo non sentirci uniti, rigettando ogni desiderio o ogni proposito riformistico di persone non propriamente di Perugia e quindi le meno adatte a poter dire, con somma autorità, la loro in questo argomento che investe esclusivamente coloro i quali alla città sono affezionati; e per essa a quelle tradizioni che non possono essere scalzate da critiche che non provengono da persone particolarmente indicate a ciò. Molto si discusse, tempo fa, sull’Università per Stranieri. Base di tale discussione che sorse poi in aperta polemica furono due questioni: quella contro l’autonomia dell’Università e quella riguardante l’accademica discussione se la Università per Stranieri aveva il diritto di chiamarsi “Università”. Vogliamo tornare su questi due argomenti per rendere il nostro pensiero: che è completamente scevro di ogni partigianesimo, data la nostra fredda visione di cronisti del tutto imparziali, desiderosi solo del bene della città e del suo sviluppo presente e futuro. Il maggior attacco all’autonomia del nostro Istituto Culturale fu quando si ventilò il progetto di fare della Università per Stranieri una semplice “Facoltà di cultura italiana per stranieri”. Non stiamo ad entrare in particolare sul come, sul quando e sul chi presentò tale progetto, a noi, lo ripetiamo, perché non ci si fraintenda, questo non interessa. Vogliamo solo porre la logica conseguenza di questo desiderio di assorbimento da parte dell’Università degli Studi: qualora fosse stata creata una Facoltà in luogo dell’Università per Stranieri, si pensa forse che le altre Università sarebbero state immobili ad ammirare e sogguardare con invidia l’istituzione di questo ramo nella cultura universitaria? Forse che le Università di Bologna, Milano, Padova, Roma (soprattutto Roma!) non avrebbero istituito in seno allo “studium” una Facoltà di cultura per Stranieri? La risposta ci pare inutile: e chi ci rispondesse in maniera diversa non potrebbe essere altri che un ingenuo: ma ad oltranza. Quindi che vantaggio ne sarebbe venuto alla nostra città? Pensiamo nessuno, se non negativo. Ben pochi avrebbero preferito Perugia a Roma, o Perugia a Bologna, Padova o Milano. E tutto questo per un progetto che non merita poi, date le conseguenze svantaggiose, nemmeno un poco di attenzione. Una freccia di questo arco era data fatto che l’Università per Stranieri, in questi ultimi due anni, non aveva “lavorato” eccessivamente dal punto di vista della affluenza di allievi. Argomento, in verità, piuttosto meschinello. Perché, scegliendo la scienza del sillogismo del non mai abbastanza lodato Veneranda (ricordate il Bertoldo?) per la stessa ragione dovremmo chiudere i Musei Vaticani, e le Pinacoteche fiorentine, e le industrie automobilistiche ed aereonautiche e le officine della Terni: tutto questo perché, per sillogismo, nemmeno essi hanno “lavorato”. Ripetiamo, l’argomento basilare ci pare un po’ meschinello; e domandiamo a coloro i quali l’hanno fatto proprio, come si poteva “lavorare” (perdonino il termine un po’ volgare) con un dopoguerra in cui tutte le vie di comunicazione e tutti i rapporti tra stato e stato sono rimasti così violentemente spezzati. Inoltre non ci pare che sia il caso di affermare che i soldati iscritti ai corsi dell’Università per Stranieri non possano essere considerati nelle statistiche perché… soldati. Ci si dimentica che questi soldati lo sono per un caso della vita (anche la guerra è un caso della vita). Molti professori, avvocati, ingegneri, studenti o comunque uomini di cultura si sono trovati sotto le armi e hanno dovuto servire il loro Paese in divisa. Costoro si sono trovati in una città in cui si offrivano loro dei corsi di cultura e ne hanno approfittato in tutti i sensi, in particolar modo dal punto di vista culturale. Essi ritorneranno nei loro paesi e, riposta la loro divisa, torneranno ad essere quello che erano e che non hanno mai cessato di essere. Si può quindi affermare onestamente che nelle statistiche effettuate dall’avvenuta liberazione a oggi, i soldati non devo essere compresi perché sono “soldati”? Agli uomini di buon senso la risposta. Sperando che non vi sia nessuno il quale, per partito preso, si rifiuti di esserlo. Due parole, ora, sulla dizione “Università” che viene contestata dagli avversari dell’Università per Stranieri. In verità, e qui teniamo a far valere la nostra obbiettività, la dizione più combattuta non è la più precisa e non rende propriamente l’idea a chi, digiuno del tutto su tale argomento, crede di trovare un Istituto Culturale corrispondente, fin nei minimi particolari, alle Università esistenti nelle maggiori città d’Italia. Sta di fatto che si potrebbe chiamarla anche in altro modo: ma, di grazia, con quel vantaggio? Nessuno; anzi, si verificherebbe una notevole confusione tra coloro i quali hanno sempre sentito parlare di Università per Stranieri: senza contare che la dizione, pur essendo superiore alla vera essenza dell’Istituto, non si può del tutto condannare. Infatti, per testimonianza di uomini di studio di altre Nazioni, non esiste al mondo un istituto di cultura così complesso come l’Università per Stranieri di Perugia. Dovremmo ora parlare del passato di questo Istituto, dei 12.331 allievi che esso ha contato e per i quali possiamo dire che, delle Nazioni più periferiche vi hanno partecipato: 45 cinesi, 12 turchi, 13 venezuelani, 64 svedesi, 85 indiani, 121 egiziani. Dovremmo parlare anche dei corsi estivi ed autunnali che contano nomi di grande valore culturale fra coloro i quali illustreranno i temi proposti. Ma ci pare inutile. L’importante è che le nostre Autorità: il Prefetto, avv. Luigi Peano, sempre così sollecito per la nostra città; il Sindaco, dottor Lupattelli e tutti coloro i quali sono interessati all’integrità della nostra storia culturale e all’avvenire di tutte quelle belle manifestazioni che dall’Università per Stranieri hanno il loro impulso, operino quanto prima affinché sia scongiurata, alla città di Perugia, la disgrazia di vedere l’Università per Stranieri trapiantata nella Capitale. Ci dicevano che si ripete la stessa storia che si ebbe allorché i fascisti volevano trasportare la Scuola Normale di Pisa a Roma. Ma quelli, in fondo, erano perdonabili perché mai avevano fatto mistero della loro volontà accentratrice. Pare strano oggi; oggi in cui il Governo è sorto con intenzioni de centralistiche. Ma il trasferimento dell’Università per Stranieri non è certo di buon auspicio. Almeno ci pare…».

La lettura di questo vecchio articolo è esemplare. Al di là di chi ha voluto e sostenuto l’esistenza della Stranieri, c’è sempre stato chi ha remato contro. Spietatamente. Anche in questi giorni di buio che avvolge di freddo silenzio le aule di palazzo Gallenga insolitamente deserte.

Chi lavora, opera e crede in questa istituzione aspetta da tempo una parola di conforto e di sostengo dall’amministrazione comunale, quella che a cui faceva riferimento l’antico articolista.

A breve ci saranno le elezioni di un nuovo rettore. Si fanno già dei nomi, si esprimono garanzie su un progetto di riqualificazione che sia di nuovo attrazione di studenti. Come per la guerra, così il Covid è stato motivo di cancellazione di presenze umane. Fino allo scorso anno i corridoi della segreteria erano impraticabili, per la presenza di studenti in attesa di iscrizione. Ora, i servizi on-line prontamente ed efficacemente attivati hanno fatto fronte, per quanto possibile, alla richiesta di lezioni che comunque arriva da ogni parte del globo. Ma se si vuol considerare il fatto che la cultura è questione anche di legami, il rapporto tra Perugia e la Stranieri non può essere inquinato da nessuna forma di ambiguità. L’ateneo internazionale ha tecnologie adeguate e personale docente qualificato per affrontare la sfida della rinascita. Si tratta soprattutto di crederci, la città prima di tutto e i futuri vertici dirigenziali di palazzo Gallenga dall’altra. Nella speranza di non leggere ancora sulla stampa, anche quella più qualificata, di pettegolezzi e di illazioni. La Stranieri, con il Warredoc attivo fin dal 1985 alla villa della Colombella, già antico luogo di ozi intellettuali e di svaghi affettuosi del re di Baviera Ludwig e della marchesa Florenzi, ha un fiore all’occhiello di interesse mondiale. Con una squadra attiva nel settore della Terza Missione ci sono energie impiegate per abbracciare ancora una grande parte dell’umanità. Ma bisogna crederci.

Condividi