di Alfonso Gianni - Il Manifesto 04.07.2019

L’io speriamo che me la cavo del governo italiano ha alfine avuto successo. Il collegio dei commissari europei non raccomanderà all’Ecofin l’avvio della procedura per deficit eccessivo. Moscovici ha ritenuto che le tre condizioni poste, compensare lo scarto per il 2018, quello del 2019 pari al 0,3 punti di Pil e le garanzia sul bilancio del 2020, sarebbero state rispettate dalle scelte e dagli impegni assunti per iscritto dal governo italiano. La decisione non sorprende. Era chiaro fin dall’inizio che l’Italia era un paese too big to fail. D’altro canto per una Ue già alle prese con la Brexitm caricarsi la gestione di una simile procedura sarebbe stato troppo. Nello stesso tempo per la sopravvivenza del governo italiano evitare la procedura era vitale. Detto ciò, non è che la decisione dei commissari sia stato un gentile cadeau. E’ costato eccome. L’hanno chiamato assestamento di bilancio, ma a tutti gli effetti il decreto salva conti licenziato lunedì dal Consiglio dei Ministri è una manovra correttiva a tutti gli effetti, quella di cui Tria ha sempre dichiarato che non ci sarebbe stato bisogno. Infatti non solo restano congelati i 2 miliardi di euro destinati alle spese dei ministeri, cosa ormai scontata, ma si destinano in modo diretto ai saldi di finanza pubblica le minori spese derivanti dalle due misure chiave del governo, ovvero il cd reddito di cittadinanza – che se fosse tale non meriterebbe alcun risparmio, anzi – e quota 100. Allo stesso scopo si utilizzerebbero le maggiori entrate derivanti dalla introduzione della fatturazione elettronica, dai dividendi delle partecipate e della Cassa Depositi e Prestiti. Ma tutto ciò non varrebbe solo per il pregresso, ma porrebbe una pesante ipoteca sul 2020, visto che la lettera firmata da Conte e Tria si impegna a un “aggiustamento strutturale significativo nel 2020”. Ha voglia Salvini di rilanciare sulla fattibilità della flat tax. Se si legge attentamente il decreto salva conti si nota che già esiste una clausola a garanzia anche per il prossimo anno. Nella manovra dello scorso autunno veniva instaurato un meccanismo di vasi comunicanti per cui le mancate spesse per il cd reddito di cittadinanza sarebbero state dirottate a coprire quelle per Quota 100 e viceversa. Le nuove norme cancellano questa possibilità di scorrimento, destinando qualcosa come 5-6 miliardi alla diminuzione del debito. L’assoggettamento del governo pentaleghista all’austerità è certificata. Il furore sovranista è lasciato alla propaganda. D’altro canto le nuove nomine europee confermano l’asse formato da popolari, socialisti e liberali, che già partorì la presidenze Juncker, anche se i rapporti interni fra le forze che lo compongono sono più precari. Sull’intesa ha pesato l’accordo di Acquisgrana, che ha cercato di rinvigorire l’ammosciato asse franco-tedesco. Gli equilibri fra le forze politiche si sono incrociati con le intese fra i governi e questi ne sono usciti vincenti. La prima vittima è stata la figura dello Spitzenkandidat, che secondo l’innovazione del 2014 avrebbe dovuto rappresentare una sorta di “parlamentarizzazione” del metodo delle nomine. Una forma certamente spuria - l’indicazione formale del presidente della Commissione spetta comunque ai governi prima di essere approvata dal Parlamento -, comunque negata in modo netto dalla prevalenza delle logiche e delle pratiche intergovernative. Un Ppe indebolito porta comunque a casa le due cariche di maggiore prestigio, la presidenza della Bce e della Commissione, ma il suo Spitsenkandidat, Manfred Weber ha la peggio. Non lo ha voluto Macron mentre Angela Merkel, per quanto indebolita, ha giocato assai bene le sue carte in quella che per lei pare un finale di partita. Infatti vede una sua creatura politica presiedere la Commissione e trova nella Lagarde alla Bce una discontinuità con Draghi poco amato dai tedeschi. Per Macron il bilancio è più magro, anche se una ex ministra della difesa alla presidenza della Commissione, potrebbe essere più sensibile a quei progetti di costruzione di un esercito europeo che stanno a cuore all’Eliseo. Assai meno contenti i socialisti: la bocciatura di Frans Timmermans, altro Spitzkandidat impallinato, deriva soprattutto, dallo scontro da lui condotto contro Polonia e Ungheria in difesa dello stato di diritto. In questo caso Visegrad e Salvini segnano un punto a loro favore, che, per quanto simbolico, getta fosche ombre sul futuro del continente.

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