di Maria Pellegrini

 

Le bandiere nere del sedicente  Stato islamico sventolano sulla cittadella di Palmira. Almeno 400 civili, la maggior parte donne e bambini, sono stati uccisi dall’Isis a Palmira. Lo riferisce, qualche giorno fa, la tv statale siriana citata dal sito dell’agenzia Reuters. Le organizzazioni per i diritti umani avevano parlato finora di centinaia di cadaveri di soldati del regime per le strade della città conquistata dai jihadisti. La furia distruttrice dell’Isis non paga di decapitazioni e violenze di soldati, esegue esecuzioni di civili e devasta beni storico-archeologici di immenso valore senza che né l’Unesco né l’Onu riesca a fermarla. La Siria, l’Iraq e la Libia sono i Paesi i cui beni archeologici sono da mesi distrutti dai miliziani dell’Isis. Adesso,è la volta della città di Palmira, in Siria, che fece parte dell’impero romano, a cui risalgono gran parte delle rovine di una città, considerata uno dei principali centri culturali del mondo antico. I suoi templi e il colonnato, celebri in tutto il mondo sono oggi lo scenario di violenze e atrocità.

Queste ultime allarmanti notizie ci spingono a riflettere sulla follia della guerra e a ripercorrere la storia di Palmira, nota a chi si interessa o studia la storia antica per essere stata la capitale del regno indipendente di Palmira sotto il governo della regina Zenobia. La sua posizione l’aveva favorita anche nei rapporti con l’impero romano, permettendole di conservare una certa autonomia. Per i Romani era importante perché il suo regno faceva da cuscinetto tra le province orientali e l’impero dei Parti, da sempre ostile a Roma.

Palmira è stata in tempi antichi un’importante città della Siria, un’oasi, 240 km a nord-est di Damasco e 200 km a sud-ovest della città di Deir ez-Zor, che si trova sul fiume Eufrate. È stata per lungo tempo centro carovaniero per i viaggiatori ed i mercanti che attraversavano il deserto siriaco, punto di passaggio tra l'Occidente e l'Oriente tanto da essere soprannominata “Sposa del deserto”. La città ebbe il periodo di maggior splendore tra il I ed III secolo d. C.

L’importanza di Palmira per la comunità internazionale è dovuta principalmente alla ricchezza di testimonianze della sua antica storia. La città fu citata per la prima volta in archivi risalenti al secondo millennio a.C. con il nome di Tadmor, nome attribuito di recente alla città costruita in prossimità delle sue rovine. Verso l’XI secolo a.C. Tadmor fu citata di nuovo negli archivi degli assiri, con il nome “Tadmor del deserto”: a quel tempo la città era già un importante snodo commerciale sulle vie che collegavano la Mesopotamia alla Siria settentrionale, ruolo che avrebbe mantenuto anche nei secoli successivi. Su di lei calò il silenzio fino alla conquista della Siria (323 a. C.) da parte dei Seleucidi, una dinastia di origine macedone che fece della Siria uno dei centri culturali ed economici più progrediti del tempo e vi regnò dalla fine del IV sec. alla prima metà del I sec. a. C.  

Palmira si mantenne indipendente fino a circa il 19 a.C., nonostante ormai il Paese fosse nelle mani dei Romani. Sotto il regno di Tiberio, e poi di Nerone, la città fu annessa all’Impero. Plinio il Vecchio ne racconta le ricchezze del suolo e l’importanza che essa ricopriva all’epoca nei commerci tra Roma e l’Oriente, soprattutto Cina, India e Persia. Nel II secolo d. C. Adriano la visitò e la proclamò città libera, dandole il nome di “Palmira Hadriana”. Tra la fine del II e l’inizio del III secolo, Settimio Severo o il suo successore, il figlio Caracalla, concesse a Palmira lo statuto di città libera. Nel III secolo la città divenne famosa sotto il regno del principe Odenato al quale l’imperatore Gallieno (260-268) conferì il titolo di “coreggente delle regioni orientali”. Odenato diede vita al “regno di Palmira” sotto l’egida di Roma. Ma in seguito a un complotto fu assassinato. Alla sua morte la moglie, Zenobia, progettò di fondare a Palmira un regno ereditario indipendente, facendo salire al trono il giovane figlio Vabalato. Di fatto era Zenobia a esercitare il potere. Sotto l’influsso dei ministri Cassio Longino (un retore e filosofo greco) e Paolo di Samosata (vescovo di Antiochia in Siria,dal 260 al 272), i palmireni conquistarono anche la Siria e gran parte dell’Asia Minore e l’Egitto (269-270). Poco dopo la sua acclamazione (270) l’imperatore Aureliano accettò un compromesso con Zenobia e con suo figlio. Nel 270 accolse le richieste di Zenobia attribuendo al figlio il titolo di “Imperator” e “Dux Romanorum”, che erano stati del padre Odenato.

Quando nel 271 Vabalato si dichiarò indipendente da Roma, incominciando a battere moneta per conto proprio, e Zenobia proclamò il figlio “Imperator Caesar Vabalathus Augustus”, assumendo per lei il titolo di “Augusta”, il regno di Palmira cessò di essere alleato di Roma e ne divenne nemico. Mentre il generale romano Probo riconquistava l’Egitto, Aureliano intervenne personalmente in Asia Minore, spazzando via le guarnigioni palmirene, dirigendosi poi su Antiochia. Qui viene affrontato in battaglia dai generali di Zenobia e dalla regina stessa che però fu costretta a ritirarsi, con gravi perdite, in direzione di Emesa (nel 272). Alla richiesta di resa fatta da Aureliano, Zenobia rispose con un rifiuto. Una nuova sconfitta le lasciò una sola opportunità: raggiungere Palmira. La città cinta di mura e dotata di armamenti difensivi sofisticati, ben provvista d'acqua, mentre gli assedianti dovevano sopravvivere in pieno deserto, sembrava inespugnabile.

Narra lo storico greco Zosimo, nella sua “Storia nuova”

«Aureliano si diresse subito con l’esercito verso Palmira. Circondate le mura, cominciò l'assedio, procurandosi dalle province vicine i rifornimenti necessari per i suoi soldati. I Palmireni si prendevano gioco dei Romani, credendo che la città fosse imprendibile, si difendevano sperando che i rifornimenti del nemico non fossero sufficienti a permettergli di continuare l'assedio. Vedendo però che i Romani resistevano, mentre gli assediati erano oppressi dalla fame, decisero di inviare la stessa regina, Zenobia verso il fiume Eufrate per chiedere aiuto ai Persiani, e combattere insieme contro i Romani. Aureliano adirato per la fuga di Zenobia, mandò subito all’inseguimento alcuni cavalieri. Questi raggiunsero la regina quando ormai stava per attraversare l’Eufrate, la fecero scendere dalla nave e la portano da Aureliano, il quale appena la vide fu molto felice, ma essendo ambizioso per natura, si irritò al pensiero che la cattura di una donna non gli avrebbe dato gloria presso i posteri.”

Intanto i Palmireni erano incerti se continuare la lotta affrontando qualunque pericolo, oppure arrendersi all’imperatore romano. Alla fine prevalse la seconda soluzione.

Così narra Zosimo:“Appena l’imperatore accettò la loro supplica e li esortò ad avere coraggio, i Palmireni si riversarono fuori dalle mura, davanti alla città, portando doni e vittime sacrificali. Aureliano, onorate le vittime e accolti i doni, permise loro di tornare nelle loro case senza punirli. Una volta divenuto padrone della città, si impadronì delle sue ricchezze, di ogni altro oggetto e delle offerte votive”.

Aureliano mise sotto processo Zenobia, ma la regina si difese escludendo ogni sua responsabilità e sostenendo di essere stata ingannata dai suoi ministri e collaboratori; tra questi il filoso neoplatonico Cassio Longino che fu condannato a morte. Longino superò con tale nobiltà la sentenza da consolare coloro che si affliggevano per la sua sorte. Anche altri, denunciati da Zenobia, furono puniti.

Mentre Aureliano ritornava in Occidente, portandosi dietro Zenobia ed il figlio Vaballato, ricevette la notizia che gli abitanti di Palmira si erano di nuovo ribellati. Senza indugio tornò indietro per sedare la ribellione. Una volta riportato l’ordine, fu duro con la città di Palmira: non solo ordinò l’esecuzione dei ribelli armati ma anche di donne, vecchi, fanciulli e agricoltori. La città fu poi distrutta i suoi tesori furono portati via e le mura furono abbattute (273).
La città tornò a essere un piccolo villaggio e divenne una base militare per le legioni romane

Aureliano poté ritornare trionfante a Roma. Secondo alcuni Zenobia morì durante il viaggio verso Roma; secondo altri giunse nella capitale, ove seguì il trionfo di Aureliano incatenata al carro del vincitore, ma ricoperta dei suoi gioielli, in segno di rispetto. Poi venne condotta a Tivoli, ove terminò i suoi giorni.

Diocleziano, tra il 293 e 303 fortificò di nuovo Palmira  per difenderla dalle mire dei Persiani e fece costruire, entro le mura difensive, ad occidente della città, un grande accampamento, con un pretorio ed un santuario per le insegne della Legione I Illirica. A partire dal IV secolo le notizie su Palmira si diradano.

Durante il periodo della dominazione bizantina furono costruite alcune chiese, anche se la città aveva perso importanza. L'imperatore Giustiniano, nel VI secolo, per l'importanza strategica della zona, fece rinforzare le mura e vi installò una guarnigione. Nonostante ciò la città venne conquistata dagli Arabi nel 634. Sotto il loro dominio la città andò in rovina.

 

La figura di Zenobia, ha suscitato, nella letteratura e nell’arte di ogni epoca, un vivo interesse divenendo ben presto un mito che meriterebbe una trattazione a parte.

Le notizie storiche scarseggiano e le poche fonti spesso contrastano, per eccesso o difetto di zelo. Gli autori della “Historia Augusta” (IV secolo) nella “Vita di Zenobia” la definirono straordinariamente avvenente, casta, carismatica e generosa. Possedeva inoltre quelle doti virili richieste a una regina: partecipava infatti alle battaglie, a cavallo o sul carro da guerra, e la sua prestanza le permetteva di percorrere a piedi anche tre o quattro miglia; dunque un’immagine e un giudizio estremamente positivi, mentre nella”Vita di Aureliano” è descritta come donna arrogante e prepotente. Nel V secolo, lo storico greco Zosimo, sminuisce la grandezza della regina, attribuendo a Cassio Longino e al generale Zabda il disegno e la realizzazione dell’autonomia e della magnificenza palmirene.

A sua lode possiamo ricordare che non solo comandò eserciti e promosse guerre di conquista, spinta da una smisurata ambizione e un insaziabile desiderio di potere, ma fu anche donna di straordinaria cultura, che valorizzò il contributo degli intellettuali come strumento di governo e promosse la tolleranza religiosa. 

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