di Giovanni Corazzi

PERUGIA - Nel 150esimo dell’Unità non poteva mancare una mostra dedicata al più grande poeta dei nostri antenati latini, quel Publio Virgilio Marone (70 a.C. – 19 a.C.) che Dante scelse come “duca” nel suo viaggio ultraterreno. Ad ospitare l’evento è proprio la città natale di Virgilio, Mantova, nella prestigiosa sede di Palazzo Te.

La mostra, iniziata il 16 Ottobre e ormai in fase di conclusione (8 gennaio 2012), si snoda nell’ala napoleonica del Palazzo e, seguendo un criterio cronologico, dall’antichità al XX secolo, intende illustrare il tema dell’iconografia dell’autore, come lo stesso titolo indica: Virgilio. Volti e immagini del poeta.
Si inizia così con il celebre mosaico raffigurante Virgilio - rinvenuto nel 1896 ad Hadrumetum (oggi Sousse in Tunisia) e conservato al Museo del Bardo di Tunisi - e si giunge fino al monumento di Mantova dedicato al poeta nel 1927 e al mai realizzato parco virgiliano, progettato nei primi del Novecento dall’archeologo Giacomo Boni.

Tra i due estremi, l’immagine di Virgilio nei secoli: come il Medioevo, l’Umanesimo, il Seicento, il Neoclassicismo (quando il presunto sepolcro di Virgilio a Piedigrotta diviene una delle tappe del Grand Tour) abbiano visto e interpretato il poeta e come i temi e i personaggi delle sue opere (soprattutto dell’Eneide) siano stati rappresentati nelle arti figurative – comprese le preziose illustrazioni delle prime (XVI secolo) edizioni virgiliane a stampa. Dunque, un percorso lungo duemila anni, una scelta di opere, a volte – come ricorda il curatore Vincenzo Farinella - anche del tutto sconosciute o inedite, eseguite da artisti quali Giulio Romano, attivo a Mantova nella prima metà del Cinquecento.

In questa suggestiva galleria, viene dato maggior spazio alle immagini “moderne” di Virgilio: l’unico ritratto antico esposto è, appunto, quello del mosaico di Tunisi. Eppure, altre raffigurazioni antiche di Virgilio esistono. E una di esse è stata “svelata” da un insigne studioso dell’antichità, Paolo Moreno (www.paolomoreno.com), già ordinario di Archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università Roma Tre. In alcuni scritti pubblicati di recente, il Moreno (di cui i lettori di Umbrialeft già conoscono le acute osservazioni sul trio Cesare – Cleopatra - Cesarione) ha, infatti, illustrato la sua grande scoperta: l’identificazione di Catullo e Virgilio in due personaggi dipinti in una casa pompeiana. Sull’argomento, Moreno ha inoltre tenuto una conferenza presso l’Istituto Archeologico Germanico di Roma, nel maggio del 2010.
In occasione della mostra mantovana, ci è sembrato giusto rilanciare questa scoperta intervistando il Professor Moreno, per meglio conoscere i dettagli di una ricerca che apre nuove e insperate prospettive e che appare tanto più preziosa se si considera la rarità delle testimonianze figurative su Catullo e Virgilio.

Professor Moreno, vuole spiegarci come è giunto ad attribuire alle due figure pompeiane nomi così illustri?

Era il visibile nascosto, se mi si perdona il bisticcio. La dimora affrescata appartiene alla Regione VI di Pompei, nell’isolato occidentale, vicino all’ingresso degli scavi. Scoperta al tempo dei Borboni, è stata oggetto di lavori dopo la seconda guerra mondiale, quando si raggiunse l’ambiente che ci interessa, decorato durante la fase matura (40-30 a. C.) del cosiddetto secondo stile. Nella letteratura archeologica sono circolate molte riproduzioni dei due personaggi – citati come letterati, filosofi o poeti – che decoravano, in una sorta di studiolo, rispettivamente la nicchia simulata sul fondo e il podio parimente illusivo sul lato sud.
La datazione del sistema ornamentale si accorda a determinati eventi.

Nel 39 veniva pubblicata l’opera biografica di Varrone comprendente settecento illustrazioni di personalità greche e romane, che ha favorito la comparsa degli scrittori latini a figura intera sui muri di Pompei. I due sono cittadini romani, indossando la toga exigua dell’ultima età repubblicana: appartengono all’ordine dei cavalieri, dato che le vesti sono segnate dalla sottile fascia di porpora (angusticlavus). Nell’abside il protagonista biondo è coronato di edera e diadema aureo, ha la lira posata alla sua destra e un contenitore di rotoli a sinistra: poeta lirico, non più vivente, in un’icona eroica. Tralci di edera avvolgono le colonne dello scenico spiegamento di architettura: dettaglio che rimanda al gusto di Cicerone, quando, in una lettera del 54 indirizzata al fratello Quinto, lodava un giardiniere per aver adornato d’edera le colonne del peristilio in una villa (“Epistole al fratello Quinto”, 3, 1, 5); la postazione dominante del poeta nel vano risponde a quella di Venere nelle coeve decorazioni pompeiane. Catullo, di rango equestre per nobiltà familiare, era mancato nel 54. La sovrannaturale apparizione dell’affresco è quella che nel 19 si leggerà in Ovidio (“Amori”, 3, 9, 61-62), il quale vuole che il veronese così accolga nei Campi Elisi l’anima di Tibullo, appena spirato: “gli verrai incontro, dotto Catullo, cinto di edera le tempie giovanili”. Nel dipinto è sormontato dal Cupido di un lampadario sospeso al catino absidale: letterale espressione dell’amore che dominava le veglie dello spasimante di Lesbia.

Decisivi anche gli attributi che caratterizzano il compagno quale vivente, a contatto con i frequentatori della casa: un volumen di scrittura nella sinistra e il pedum dal manico ricurvo nella destra, bastone da pastore che simboleggia il mondo cui Virgilio aveva consacrato le “Bucoliche”, pubblicate in Campania nel 37. Di contro all’elegante allacciatura delle stringhe di Catullo, i calzari di Virgilio, atti al terreno rustico, sono protetti davanti e ai lati dalla tomaia. Di origine modesta, e danneggiato dagli espropri conseguenti la guerra civile, il mantovano era stato assunto tra gli equites per i beni procuratigli da Asinio Pollione, Cornelio Gallo e Mecenate, i quali caldeggiarono la sua sistemazione in Campania nella villa che era stata dell’epicureo Sirone: qui avrebbe composto anche le “Georgiche” (36-30).

In quale stanza della casa si trovano le immagini?

I due ritratti sono in un’esedra affacciata a occidente su una terrazza a giardino, sopra le mura cittadine in disarmo: l’ambiente 18, nel rilievo archeologico della ricca abitazione (Pompei, Regione VI, 17, 41). La parete settentrionale, priva di pitture, ha tracce della scaffalatura per una rara biblioteca privata, che giustifica i soggetti descritti e il nome convenzionale, Casa con Biblioteca.

Conosciamo l’autore dei due dipinti?

La firma del pittore greco Philóxenos (che forse riprendeva come nome d’arte quello di Filosseno d’Eretria, celebre nella maniera, al tempo dei primi eredi di Alessandro) è tracciata col bianco dell’affresco lungo la panca lignea semicircolare (schola), fittiziamente accostata alla tenda rossa che riveste l’abside. Significativo precedente all’autografo latino Lucius pinxit, applicato analogamente, per una decorazione di quarto stile, su un elemento di arredo: un letto nella Casa di Decimo Ottavio Quartione (Pompei, II, 2, 2). Con l’andamento sghembo della scrittura, asimmetrica e incongrua rispetto al Catullo, il nostro Filosseno ha inteso evitare l’equivoco di una didascalia relativa al personaggio più vicino. Inoltre l’alfabeto è ibrido tra lettere greche e la X latina, invece della xeî ellenica a tre tratti paralleli: testimonianza di un immigrato in Italia. Se un committente locale, tanto erudito da prediligere un Philóxenos di Citera (proposto recentemente per l’affresco, senza dar peso a tunica e toga segnate dalla porpora), avesse mai chiesto al pittore di mettergli in casa quel remoto autore di ditirambi (435-379 a. C.), l’avrebbe voluto nel drappeggio alla greca e segnalato da una corretta spiegazione.

Oltre quelle di Pompei e del mosaico di Tunisi, esistono altre immagini antiche di Virgilio?

La portata del nuovo documento viene proprio dall’identità fisionomica con le immagini attestate da iscrizioni, sia nel mosaico dell’età dei Severi da Hadrumetum (Africa Proconsolare), dove il vate porta calzature simili a quelle dell’affresco e svolge un papiro con sue parole (“Eneide”, 1, 8-9), sia nell’altro, di poco successivo, firmato da Monnus a Treviri (Augusta Trevirorum, Gallia Belgica, oggi Trier in Gemania) con la scritta Vergilius Maro. Tra la pittura e i mosaici, si pone il mirabile busto proveniente dal Mausoleo di Augusto, segnalato quale Virgilio da più di mezzo secolo, tuttora esposto al pubblico (Roma, Musei Capitolini, Centrale Montemartini): quanto di più vicino ai forti tratti dell’ospite in biblioteca. Lavorato per un’erma nello stile classicheggiante dell’impero di Augusto, il ritratto non nasconde l’evoluzione dell’età matura rispetto al debuttante delle “Bucoliche”, per colui che era ormai il famoso autore dell’“Eneide”: la corona bronzea, di cui restano i fori di attacco, a onore del poeta scomparso nel 19, va immaginata di epico alloro.
 

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