di Sandro Roazzi

È subito polemica fra la Camusso (“La manovra non incide sulle diseguaglianze e non tocca le rendite”) e il ministro Padoan (“Che Manovra ha letto?”) sulle misure economiche varate dal Governo. Ma probabilmente è una disputa che non porterà da nessuna parte, fagocitata come sarà dalle ansie pre elettorali della politica. Anche il solenne “né lacrime, né sangue” governativo suona stonato, visto che siamo in una fase di crescita ed almeno quando c’è ripresa c’è da aspettarsi che il rigore...marchi visita. Ma la manovra se non fa male a nessuno, sembra, difficilmente farà scatenare l’esultanza popolare. Più che ‘leggera’, infatti, pare essere quasi impalpabile. Certamente, questo è un primo appunto, non coglie l’opportunità della ripresa e la...bonomia di Bruxelles per compiere qualche scelta che vada oltre il contingente. Che sia almeno un preannuncio di una strategia più di lunga durata. Insomma, in questo caso è lecito dire che si passa dal...vuoto al voto.

Indubbiamente la Manovra qualche segnale positivo lo dà, ma sarebbe improprio enfatizzarlo. Il pubblico impiego vede finalmente profilarsi le risorse necessarie per i contratti. Ma era un debito da onorare, per giunta lungamente atteso e disatteso dal potere pubblico.

I giovani sotto i 35 anni potranno coltivare qualche speranza in più in termini di assunzioni con gli incentivi concessi, ma sembra la riedizione degli sgravi del Governo Renzi, con l’aggravante che allora avevano un senso perché serviva una scossa dopo la lunga recessione, oggi invece occorrerebbero politiche attive del lavoro di più lungo periodo e meglio mirate. Inoltre restano a bocca asciutta proprio quelle classi di età, dai 35 ai 50 anni, che stanno pagando in termini di licenziamenti il prezzo delle ristrutturazioni e che sembrano invisibili sul piano sociale. Inutile dire che il loro malumore è destinato a crescere.

Altro punto a favore è lo stop per il 2018 ad aumenti dell’Iva, anche se si tratta di un rinvio che non promette per gli anni successivi ad esso nulla di buono.

Nel frattempo, inoltre, l’andamento dei consumi mostra di avere altre esigenze: quella, in primo luogo, di una dinamica salariale più sostenuta e sulla quale da tempo insiste Draghi.

La Manovra, ancora, non mostra il piglio necessario per fronteggiare un 2018 che quasi tutte le previsioni danno come un anno economicamente più fiacco del 2017. Sembra che l’anno prossimo conti solo per quello che è politicamente, anno di elezioni.

L’assicurazione più importante del Governo viene sul versante del debito pubblico, che dovrebbe scendere con continuità nei prossimi anni, contando sulla crescita che continuerà. Ma anche in questo caso le cifre sono più speranze scritte sulla carte che altro. E non è un buon segnale, soprattutto se si affianca l’enorme debito pubblico alla questione, tornata calda, dei crediti incagliati delle banche.

Padoan e il Governo fanno quel che possono, vero. Anche con un po’ di sensibilità sociale che però gira alla larga dal problema pensioni. La sensazione è che si tenti di consegnare al nuovo quadro politico dopo il voto un’economia che vivacchia discretamente e si nutre soprattutto di un ‘fai da te’ non disturbato da impacci legislativi. Quieta non movere, dicevano gli antichi.

Un calcolo che può funzionare se l’implosione del malessere sociale, non piccolo, continuerà ad essere tale. Ma il se è d’obbligo, visto che le ragioni di quella implosione, di ormai vecchia data, prima o poi potrebbero esondare...mandando all’aria proprio quel calcolo.

 

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