di Sandro Roazzi

Nella sua ultima relazione da presidente della Consob Vegas ha ricordato un …appuntamento che ad esempio la politica ignora quasi completamente: con l’elevarsi della inflazione verso il 2% preparatevi – ha detto – all’inevitabile stretta monetaria. Vale a dire: attenzione, l’ombrello protettivo di Draghi non durerà ancora per molto, quindi preparatevi ai nuovi scenari. Che sono impegnativi perché possono determinare la sorte della incerta crescita e possono anche far piovere sul nostro Paese nuovi fulmini targati Bruxelles. L’inflazione del resto cresce ma non sembra essere quella giusta, vale a dire sintomo di una vera ripresa dei consumi che a sua volta indica un cospicuo aumento di salari e stipendi. E’ importata come l’energia o generata da movimenti tariffari. Voci che semmai deprimono i bilanci delle famiglie e quelli delle imprese.

Eppure il dibattito politico sembra non accorgersene. Siamo sempre e comunque ad una visione dell’economia fatta di slogan e di pressapochismi che cercano di circuire consenso ma evitano accuratamente di fare i conti con i problemi che avanzano. Se guardiamo alle prospettive, sempre che l’Europa tenga e dopo Macron all’Eliseo almeno questa speranza sembra potersi rafforzare, è indubbio che occorre poter contare su una coraggiosa politica economica di breve termine ed una lungimirante politica di medio e lungo termine che accetti la tremenda sfida dell’innovazione.

Quando si parla di innovazione da parte dei politici si compie di solito un gesto di involontaria arroganza: ci si schiera dalla parte dell’innovazione per apparire moderni e, quindi, avere il diritto di comandare. Ed invece non sembra proprio essere così. L’innovazione che si spalmerà sull’intera società è una sfida da far tremare le vene ed i polsi. Può generare una società oligarchica che si imporrà su una scala di diseguaglianze sociali sempre più profonda; può cancellare milioni di posti di lavoro più velocemente di quanto politiche del lavoro tutte da inventare possano ricreare; può demolire valori e comportamenti rendendo la società pericolosamente periferica anche su questi versanti.

Insomma non serve rifiutare l’ostacolo innovazione, perché sarebbe anche peggio, ma occorre farci i conti non con facili slogan quanto piuttosto con una cultura politica ed economica in grado di tenere il passo nei confronti di cambiamenti che sono e saranno sempre più profondi. Tutta da costruire.

Anche la parola ‘lavoro’ va trattata con…cura. Come difenderlo e come crearlo in un’economia integrata internazionalmente e nella quale le scoperte incessanti sul piano tecnologico spostano continuamente in avanti la sfida, è un mistero. Occultato da slogan come il reddito di cittadinanza, il lavoro di cittadinanza e via di questo passo che sono scatole vuote ma che fanno capire come si sia lontani dal cogliere l’aspetto fondamentale della rivoluzione tecnologica: non c’è tempo da perdere per mettere in sicurezza un sistema economico e sociale, che così come è appare troppo fragile, indifeso, lento e senza futuro.

 

Macron

Macron ha ringraziato i suoi sostenitori perché hanno voluto essere…audaci. Audacia che va oltre la tecnocrazia. Audacia che non è solo la ricerca di un nuovo corso politico. Audacia che non può essere solo argine al populismo, pure battuto. Audacia è il tenere insieme in primo luogo i destini nazionali e quelli dell’Europa. Ma se così sarà, allora sarà importante costruire alleanze non più sui pilastri immobili di Maastrich, bensì sulle scelte da compiere per integrare assieme innovazione, lavoro e solidarietà in forme che non potranno che essere anche inedite, diverse ad esempio dal tradizionale welfare che abbiamo conosciuto nel passato. Audacia è il porsi l’obiettivo di non far morire la partecipazione democratica, che deve trovare forme nuove e sovranazionali in Europa se non si vuole che il governo reale dei popoli finisca sempre più nelle mani di chi guida il progresso e di quelle élite che fanno di questo progresso lo strumento ideale di potere per garantirsi.

Insomma una paroletta…come audacia può significarlo spendersi su impegni di grande portata senza per questo essere certi della riuscita. Se sarà così oppure se si tornerà a parametri politici ed economici più usuali si vedrà. Per Macron è l’inizio di una avventura, per governi come il nostro potrebbe essere invece il momento opportuno per mettere da parte furbizie levantine e cercare di assecondare politiche di maggiore qualità e spessore.

 

I conti dell’Italia con se stessa

Intanto l’Italia dovrebbe fare meglio i conti con se stessa. Dalla Consob si apprende che la ‘ricchezza’ delle famiglie punta verso i depositi bancari e postali: si sale dal 38,1% al 46,8%.

Insicurezza? Paura del futuro? Probabile che la percezione della realtà sia influenzata ancora in questo modo.

Il possesso di azioni si dimezza dal 10,5% al 5,3%, quello dei titoli pubblici scende dal 13,4% al 10,8%. Insomma le tanto vituperate banche sono considerate malgrado tutto un approdo più sicuro di tutti gli altri. La domanda allora è: che cosa hanno fatto e cosa fanno per la crescita? O meglio: stanno facendo tutto il possibile per sostenere la poca ripresa che c’è in giro, quel poco o tanto di imprenditorialità che se la sente di rischiare? Quell’innovazione che serve e genera investimenti a sua volta? L’impressione è che finora le risposte siano state poco incoraggianti. 

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