Lavoro nero in Umbria: un tumore da estirpare .
Nella crisi strutturale che ormai da otto anni colpisce l'Umbria più di altre regioni sono ormai messe in discussione alcune caratteristiche fondamentali che avevano contraddistinto e qualificato in passato la nostra regione. Infatti la diseguaglianza si allarga e la legalità è sempre più labile.
Il lavoro nero che aumenta è uno di questi aspetti. Nel corso di controlli effettuati dal Ministero del Lavoro negli ultimi anni risulta che l'Umbria si colloca tra le prime cinque regioni con il maggior numero di aziende irregolari: in questa classifica prima è la Liguria con una percentuale del 73,1%, a seguire Lombardia con il 63,9%, Marche con il 62,9%, Campania con il 59,8%, Umbria con il 59,4%. Complessivamente da queste ispezioni risulta che in Italia ci sono circa 2 milioni di lavoratori in nero con una perdita di circa 41miliardi di euro e un'evasione contributiva che si aggira intorno a 25 miliardi,
Solo nel 2015 le ispezioni effettuate parlano di 18mila lavoratori trovati in condizioni di lavoro nero e del 30% di casi di irregolarità da parte delle aziende. I settori produttivi dove queste pratiche sono più diffuse sono quelle dell'edilizia (12,8%), dell'agricoltura (21%) e dell'accoglienza e ristorazione (16%), Il tasso complessivo é pari al 15% e l'incidenza sul Pil é pari almeno al 6,5%.
Secondo gli studi effettuati dall'Istat e dalla Cgia di Mestre la situazione in Umbria è per certi versi peggiore alla media nazionale. Anche qui sono i numeri che parlano: una perdita di Pil del 6,6%, i lavoratori irregolari coinvolti totalmente o parzialmente sono 41.616, una minore ricchezza pari a 1miliardo e 400 milioni di euro ed in più un'evasione contributiva e previdenziale di almeno 600 mila euro.
Ci sono infine da sottolineare due ulteriori fenomeni che si sono sviluppati con il prolungarsi e l'inasprirsi della crisi: il primo è l'esplosione dell'utilizzo dei voucher che solo nel 2015 ha coinvolto in Umbria oltre 17mila lavoratori e che sostanzialmente rappresentano una forma di legalizzazione del lavoro nero; l'altro è l'allargarsi del caporalato in due settori fondamentali come l'agricoltura e l'edilizia. Tutti aspetti, questi, di un drammatico indebolimento delle condizioni di lavoro delle persone che trovano riscontro anche nell aumento degli infortuni e delle stesse morti sul lavoro, ben 16 lo scorso anno.
Contrastare questa situazione complessiva é ancora possibile ma serve una politica economica alternativa che rimetta al centro i valori, i diritti e la dignità del lavoro. Anche per questo é molto importante schierarsi con la Cgil che sta promuovendo una legge di iniziativa popolare per una nuova carta universale dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Sinistra Italiana è impegnata anche in Umbria, in tutti i territori, in questa fase nella raccolta delle firme necessarie e successivamente nelle mobilitazioni che saranno necessarie per raggiungere questo obiettivo.
Mario Bravi,
Sinistra Italiana
Comitato Operativo Umbria
Lunedì
16/05/16
01:35
Critica e Proposta.
La analisi di Mario Bravi sarebbe ineccepibile se in Umbria vi fossero SOLO degli sfruttatori che per loro tornaconto sfruttassero gli altri "lavoratori" pagandoli poco o in nero.
Purtroppo la situazione Umbra è ben più complessa come ben sa lo stimato Mario Bravi.
Il tessuto produttivo umbro é costituito in prevalenza da piccoli artigiani commercianti e imprenditori che stentano a tirare avanti per i ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, la restrizione del mercato e la crisi dei consumi che è nota a tutti.
Il piccolo imprenditore strozzato da mille ostacoli che deve fare per sopravvivere?
Deve necessariamente "liberarsi" di ogni peso che lo farebbe andare a fondo. Purtroppo tra questi "pesi" ci sono anche quelli del personale.
Il passaggio tra un dipendente che ti costa oltre allo stipendio, tredicesima, quattordicesima e contributi che pesano la metà dello stipendio, con altri che costano il solo netto in busta, è scelta spiacevole, ma obbligata.
Ben lo sanno gli stessi lavoratori quando si trovano nella necessità di "assumere una badante" per i genitori che hanno bisogno di assistenza.
E' impossibile mettere in regola una badante che vivesse in casa a disposizione 24 ore su 24. Costerebbe una cifra insostenibile per chiunque.
Anche se lavorasse solo 8 ore sarebbe impossibile mantenerla perché costerebbe più dello stipendio del lavoratore: Ferie, straordinari e permessi settimanali sono vissuti come gravi difficoltà a cui fare fronte con fatica.
La situazione è simile per gli artigiani, i commercianti e i piccoli imprenditori che spesso lavorano molto più dei loro dipendenti e molto spesso guadagnando meno di loro.
A chi si trovasse in queste situazioni non resterebbe che chiudere bottega se solo potesse farlo. Spesso però non può neppure staccare la spina dovendo pagare mutui e debiti già contratti che gli farebbe perdere tutto quanto accumulato in una vita di lavoro. Oltretutto da un unto di vista sociale, "Chiudere bottega", significa attivare un moltiplicatore di fallimenti e conseguenti licenziamenti.
In quest o scenario anche i lavoratori che ora percepiscono un misera paga in nero non avrebbero neppure quella.
E' la soluzione giusta quella di costringere con la forza della legge, chi già ora non ce la fa, a pagare stipendi e oneri indiretti ai dipendenti, pur spendo che non può farlo e delle conseguenze che tale decisione comporterebbe?
E'questa una ricetta lungimirante che risolverebbe i problemi della nostra economia?
La ricchezza di un territorio oggettivamente, non sono i suoi operai, ma i suoi "imprenditori" (artigiani o commercianti che siano). Solo loro sanno organizzare il lavoro per gli altri. Se perdiamo questo patrimonio o lo costringiamo ad andarsene siamo davvero senza futuro.
E' giusto quindi sfruttare il lavoro degli altri? no certamente, ma in situazioni di crisi bisogna attivare soluzioni transitorie ed eccezionali che mantengano attive le "imprese" e consentano di sopravvivere anche ai "lavoratori".
Si consenta di attivare una contrattazione aziendale personalizzata per le aziende che non hanno utili da almeno due anni, che le autorizzi a contrattare individualmente la retribuzione mensile e quella differita.
Quella differita la si accantoni in un fondo apposito che sarà versato ai lavoratori che hanno accettato il rischio di questa forma di pagamento, abbattendo "gli utili" prodotti dalla azienda negli anni successivi.
Così facendo almeno TUTTI avrebbero interesse a riportare la azienda in attivo e probabilmente contribuirebbero più volentieri, se non altro per interesse, a superare i momenti difficili.