di Maria Pellegrini.

Andrea Carandini, archeologo e accademico di fama internazionale, ed Emanuele Papi, direttore della Scuola archeologica italiana ad Atene, hanno di recente dato alle stampe un volume ADRIANO, ROMA E ATENE (edito da Utet, pp. 368, € 20,00). Dalla loro collaborazione il lettore avrà un affresco ampiamente documentato, senza indulgere a intriganti fantasie romanzesche, non solo dell’imperatore romano che governò per vent’anni dal 117 al 138, ma anche della sua intensa attività di costruttore con preziose schede e tavole dei monumenti di Roma a cura di M.Cristina Capanna e M. Teresa D’Alessio, e rielaborazioni grafiche degli edifici ateniesi a cura di F. Giorgio Cavallero.

A Carandini si deve la prima parte del volume che ripercorre velocemente le vicende storiche da Augusto a Traiano l’“optimus princeps”, che seppe tenere salde nelle sue mani per quasi vent’anni le redini dell’impero, e all’anno della sua morte che avvenne in Cilicia nel 117 d.C.

Traiano e sua moglie Plotina erano stati tutori di Adriano che aveva perso entrambi i genitori imparentati con la famiglia dell’imperatore. Plotina, che non aveva avuto figli, ebbe per quel ragazzo un amore materno, seguì i suoi studi, divise con lui l’amore per la cultura greca, lo aiutò nella carriera politica e fu colei che lo volle successore sul trono imperiale. Adriano in una lettera la definì “la migliore e più cara delle madri” e quando morì tumulò le sue ossa nella base della colonna traiana accanto a quelle del marito.

Che cosa esattamente accadde al momento della morte di Traiano, che non aveva nominato il suo successore adottando qualcuno di sua fiducia come aveva fatto Nerva con lui, nessuno può dirlo con certezza. La “Storia Augusta” (una raccolta di biografie degli imperatori romani scritte da sei storiografi latini nel IV secolo d.C. da Adriano a Numeriano, 284 d.C.) riporta una strana versione: quando Traiano era appena spirato, Plotina tenne nascosta la notizia e fece imitare da qualcuno la voce dell’imperatore che con tono fievole pronunciò la propria decisione di scegliere Adriano come successore. Anche lo storico Cassio Dione afferma che la notizia della morte fu tenuta segreta per giorni e aggiunge che l’adozione di Adriano fu annunciata al Senato romano con una falsa lettera di Traiano, scritta dalla lungimirante Plotina.

Carandini considera il principato di Adriano «nel suo insieme eccellente» per quanto all’inizio egli fosse inviso al Senato per il rovesciamento della politica di Traiano, artefice della massima dilatazione dell’impero. Con il suo successore, l’età delle conquiste si chiuse e si avviò quella del consolidamento delle frontiere. Lo testimonia la costruzione del Vallo di Adriano, la grandiosa muraglia costruita in Britannia con lo scopo di prevenire invasioni dei popoli della Caledonia, di creare un reale confine e consolidare la vita civilizzata al di qua del muro, ma nello stesso tempo di permettere una relazione pacifica e ordinata, sottoposta a controlli attraverso le porte, che si aprivano nel muro, con i popoli del nord. Una relazione commerciale di interscambio ed una relazione politica, un tentativo di civilizzazione pacifica.

Alla guerra il nuovo imperatore preferì la pace, abbandonò l’impresa contro i Parti iniziata da Traiano e sancì un accordo con loro, rinunziò ai territori oltre l’Eufrate e riconobbe l’autonomia dell’Armenia, ma fu costretto negli ultimi anni del suo regno a reprimere la ribellione dei Giudei in Palestina, domati dopo una lotta accanita che causò terribili stragi e si concluse dopo tre anni.

Adriano è passato alla storia anche per i suoi viaggi attraverso tutte le regioni del vasto impero, intrapresi non per puro svago - puntualizza Carandini - ma per conoscere la vita culturale, artistica e religiosa di quei territori e per motivi amministrativi e militari. Furono viaggi importanti perché attestavano che era subentrato un nuovo concetto, quello di un impero cosmopolita.

Altri motivi su cui si incentrano le biografie di Adriano sono i rapporti con la moglie Sabina (che il biografo Elio Sparziano, uno degli scrittori della “Historia Augusta”, descrive come «capricciosa e intrattabile») e l’amore per il giovane greco, Antinoo, la cui tragica fine - annegò nel Nilo nel 130, in circostanze misteriose - lo sconvolse al punto di divinizzarlo, far costruire una città cui dette il nome Antinopoli e riprodurre la sua immagine in numerose statue. Carandini non impernia la sua narrazione, oltre il necessario, su questi temi mentre dà molto spazio alla descrizione di tutti i monumenti innalzati da Adriano. Leggiamo nella sua Premessa: «I lettori potranno così conoscere questo principe eccezionale e affascinante avendo facile accesso alle costruzioni da lui erette nelle città che egli riteneva i due massimi epicentri dell’impero, Roma e Atene».

La passione dell’architettura si manifestò con la sperimentazione di soluzioni innovative ed audaci. Tra i numerosi monumenti che il libro descrive, è sufficiente segnalarne tre per capire quale fosse l’entusiasmo di costruttore che Adriano ebbe per tutta la vita: il Pantheon (capolavoro di architettura e ingegneria, una riedificazione di quello del tempo di Augusto, con un nuovo progetto a forma di rotonda, illuminata da una sola apertura nella parte più alta del tetto), il Mausoleo sulla riva destra del Tevere che emulava quello di Augusto, destinato a monumento funebre, poi trasformato in età medievale nella fortezza papale di Castel Sant’Angelo. E fuori Roma, come si legge nella “Vita di Adriano” di Elio Sparziano «fece costruire con eccezionale sfarzo una villa a Tivoli dove erano riprodotti con i loro nomi i luoghi più celebri delle province dell’impero, come il Liceo, l’Accademia, il Pritaneo, il Canopo, il Pecile e la valle di Tempe». Iniziata al principio del suo regno, ingrandita a più riprese la villa divenne il suo rifugio prediletto per la sapiente fusione di architettura e natura.

Altri argomenti interessanti che ci propone Carandini sono le numerose statue e immagini di Adriano (diffuse in tutte le città, caratterizzate dalla barba, una novità per gli uomini romani), la sua familiarità con i filosofi, il suo favore per gli artisti e l’arte, la sua generosità nel far rifiorire Atene.

Adriano non volle morire a Roma, né nella sua villa di Tivoli. Malato di idropisia si ritirò a Baia dove il 10 luglio del 138 spirò. Secondo sue disposizioni volle che il corpo fosse inumato e non incenerito. Solo l’anno seguente il successore da lui designato, Aurelio Antonino, inserì la bara con la salma nel colossale sarcofago di porfido scolpito ad Alessandria, seguendo il modello di tradizione faraonica, e lo pose nel Mausoleo che lo stesso Adriano aveva progettato. Carandini riprende una tesi dibattuta da tempo da archeologi e studiosi e sostiene lo strano destino del coperchio di quel sarcofago: rovesciato sarebbe divenuto il fonte battesimale situato a Roma in San Pietro, rimodellato da Carlo Fontana nel 1698.

Adriano è ricordato dalle fonti antiche come uomo di lettere, dalla straordinaria cultura. Delle sue poesie tutte perdute è rimasta soltanto la nota apostrofe all’anima alla quale l’uso dei diminuitivi dà un particolare effetto di leziosità e virtuosismo. Carandini si cimenta anche nella traduzione «Piccola anima smarritella e delicatella/ ospite e compagna del corpo,/ verso quali luoghi ora te ne andrai,/ lividina, intirizzita e nuderella;/ né più come solevi darai svaghi», ma avverte che quei versi non devono essere valutati sul piano estetico piuttosto «in una più ampia visione di civiltà filosofica sacrale, misterica astrale e magica, rivolta alla speranza di intravedere la crisalide del suo corpo tramutarsi in anima divina e nuova stella». Aveva speranza di sopravvivere oltre la morte «faceva comunque una differenza immaginarsi ombra negli inferi dell’Acheronte e dell’Orco oppure anima astro fiammante in cielo», come era stato per Antinoo che egli aveva divinizzato e affermato di averlo visto tramutarsi in un astro. La credenza in un eterno futuro stava propagandosi nel mondo greco e romano, e l’autore annota «era come se il mondo antico si stesse appropinquando passo passo a quella uguaglianza etica di tutti gli uomini scoperta un secolo prima da un oscuro falegname della Galilea».

Nella seconda parte del libro Emanuele Papi scrive nella Premessa «Agli storici antichi Adriano era piaciuto poco, erano spesso maggiorenti benpensanti e risentiti, che appartenevano alla classe dei senatori, tradizionalmente ostili agli imperatori dei quali denigravano le stranezze (anche se poi ne riconoscevano le qualità)». Ne sono una testimonianza le poche notizie riportate dopo la sua morte dagli storici e le insufficienti fonti sulla sua attività legislativa e amministrativa.

Cassio Dione (II sec. d. C.) nella “Storia di Roma” giudica il suo regno «tutto sommato buono» ma in quanto a Adriano lo descrive «pieno di vizi capitali i peggiori dei quali erano la vanagloria, l’invidia, la gelosia, il desiderio di vendetta».

Nell’“Historia Augusta” (fine del III o gli inizi del IV secolo) l’autore della sua biografia Elio Sparziano lo ritrae tra le altre varie connotazioni come «un buon generale interessato alla disciplina dei soldati e attento all’amministrazione finanziaria dell’impero», ma il giudizio di Papi su quella biografia non è positivo: l’autore «racconta soprattutto episodi stravaganti».

L’“Epitome de Caesaribus” un’opera storica latina scritta alla fine del IV secolo da un autore anonimo, lascia di lui un ritratto piuttosto vago e sintetico ricordando che se ebbe virtù «furono tante quanto i vizi» e che fu «stratega, ballerino, musicista, cacciatore, architetto, filosofo».

Eutropio, storico romano del IV sec. d.C. gli dedica un breve ricordo di 169 parole ricordando che «le sue virtù si erano manifestate soprattutto nella gestione scrupolosa di fondi pubblici e nell’imposizione della disciplina ai soldati».

Poi su di lui cadde il silenzio fino al Machiavelli che lo inserisce fra «gli imperatori giusti e buoni: Tito, Nerva, Traiano, Antonino Pio, Marco Aurelio».

Si dovrà aspettare fino al 1776 con la pubblicazione della “Storia della decadenza e caduta dell’Impero romano” di Edward Gibbon per avere notizie su questo imperatore: «Per vent’anni dal 117 al 138 l’impero di Roma fu governato da Adriano, il migliore di tutti gli imperatori».

La fortuna planetaria di questo imperatore lo si deve alle “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar stampato in più di venticinque milioni di esemplari. Emanuele Papi in un’intervista ha detto che «Adriano è quasi diventato un’icona pop. In tutto il mondo e quasi ogni anno, sono state inaugurate mostre su di lui e su Antinoo, sono state organizzate commemorazioni e celebrati convegni, sono sorte associazioni e festival con il suo nome. C’è anche un profumo francese: Eau d’Hadrien… Su Google la stringa Emperor Hadrian ha mezzo milione di risultati… Adriano è un successo planetario dei nostri tempi».

Per lo studioso e l’archeologo Papi, storia e architettura si fondono, il ritratto di Adriano è disegnato in questo libro da una prospettiva insolita, quella della passione di questo eclettico sovrano per la cultura greca e per la città di Atene dove soggiornò quando aveva 36 anni per un anno; gli Ateniesi gli donarono la cittadinanza, lo nominarono Arconte. Nel 124 si recò anche ad Eleusi per farsi iniziare ai Misteri di Demetra. Qui, nel grande santuario mistico della Grecia, ritornò nel 128. Gli innalzarono una statua di bronzo nel teatro di Dioniso, un colosso dietro il tempio di Zeus, quattro statue di prezioso marmo nel tempio di Zeus Olimpio ad Atene che, avviato nel VI secolo a.C. dai tiranni Pisistratidi, fu portato a compimento da Adriano e inaugurato alla sua presenza nel 131-132, durante l’ultimo viaggio ad Atene. In quasi tutte le città mostrò la sua passione di architetto costruendo edifici, templi, ma non gli piaceva soltanto far scrivere il suo nome sui monumenti, volle darlo a molte decine di città in Europa, Asia e Africa. Adriano Il “Graeculus”, così era chiamato, e il suo filo-ellenismo è stato importante per l’integrazione delle civiltà greca e romana, e per gettare le fondamenta dell’intera civiltà occidentale.

 

Nota: nell’immagine, busto di Adriano, Musei Capitolini Roma

Condividi