di Claudia Pratelli* - Jacobin Italia.

La nuova versione del bullismo di stato si colloca in una tradizione consolidata e bipartisan: scaricare sui lavoratori le responsabilità delle inefficienze del pubblico. Del resto cosa di meglio per oscurare il definanziamento del welfare, il blocco del turn over nella pubblica amministrazione – decennale e rinnovato per quest’anno dal governo gialloverde – e l’evidente disastro dell’organizzazione del lavoro in molte pubbliche amministrazioni?

Succede nel cosiddetto disegno di legge “concretezza”, con un decisivo salto di qualità rispetto alle precedenti versioni. Stavolta la maggioranza prevede “sistemi di verifica biometrica dell’identità e di videosorveglianza degli accessi, in sostituzione dei diversi sistemi di rilevazione automatica, attualmente in uso”, ovvero telecamere per spiare i lavoratori e impronte digitali al posto del cartellino.

Si tratta di una declinazione particolarmente infame della propaganda contro i lavoratori pubblici, nella quale si saldano le peggiori tensioni che attraversano la nostra società e le parti politiche che la rappresentano. Gli ingredienti sono ormai noti, ma non è frequente che si combinino tra loro.

In primo luogo, c’è una gigantesca mistificazione: a differenza del periodo precedente, nella crisi economica il neoliberismo, che prende la forma delle politiche di austerità, non rivendica le sue strategie, al contrario ha bisogno di colpevoli. Negli anni della crisi economica, a seguito del famoso memorandum e sotto la minaccia speculativa, l’Italia ha chiuso i canali di finanziamento della spesa sociale. È sempre utile ricordare che i tagli alla spesa, quella complessiva comprendente tutti i servizi pubblici e la protezione sociale, in gran parte dovuta alla riduzione dei lavoratori, è stata abnorme: pari a meno 26,5 miliardi di euro tra il 2009 e il 2015  secondo la rielaborazione di dati Oecd di Paternesi Meloni e Stirati. Ed è altrettanto utile ricordare che l’allungamento delle lista d’attesa per ottenere una prestazione sanitaria in un ospedale o anche solo per il rinnovo del documento d’identità negli uffici anagrafe dei comuni o dei municipi ha molto a che vedere con quei tagli. Questo è l’esito delle politiche di austerità che a nessuno interessa rivendicare, ma delle quali è utile scaricare la responsabilità su falsi colpevoli. In questo caso i lavoratori pubblici, peraltro considerati beneficiari di condizioni di lavoro ancora decenti rispetto a gran parte del resto della popolazione: in questo senso rappresentano straordinari capri espiatori.

In secondo luogo siamo davanti a una truffa: non da oggi il definanziamento del pubblico prima e la sua diffamazione poi, fanno parte di una strategia per legittimare  nuovi tagli alla spesa sociale e un’ulteriore compressione della sfera pubblica. In pochi sanno che l’Italia conta meno lavoratori pubblici della media europea del 14% a fronte del 16% secondo l’Eurostat e che, secondo i dati resi noti dalla ragioneria generale dello stato ed elaborati in un rapporto della Fondazione Di Vittorio , ha registrato nell’ultimo decennio un calo di circa 260 mila addetti: meno di quanto avrebbe comportato il blocco del turn over senza la stretta sull’accesso alle pensioni. Una flessione destinata a crescere a fronte della curva di pensionamento e delle recenti modifiche alla normativa in questione. Contemporaneamente si è registrato un significativo calo dei lavoratori con un contratto stabile: tra il 2008 e il 2017 il personale con contratto a tempo indeterminato si è ridotto del 4,4%.

Questi dati sono misurabili direttamente in qualsiasi accesso a un pronto soccorso: basta chiedere la condizione contrattuale di chi assiste i pazienti e si scoprirà un universo sanitario fatto da specializzandi, dottorandi, infermieri a partita Iva e operatori socio sanitari di cooperative in appalto. Altrettanto emblematica è la vicenda attualissima dei navigator, il personale necessario per l’erogazione del reddito di cittadinanza e le nuove politiche attive del lavoro: personale, che si prevede con contratti precari. Da una parte la contrazione della spesa e la diminuzione dei lavoratori hanno messo in difficoltà servizi, offrendo ulteriori argomenti ai sostenitori delle privatizzazioni a causa inefficienza del pubblico. Dall’altra dentro i servizi pubblici si sono insinuati meccanismi di gestione privatistica con meccanismi di appalto e convenzionamento.

Fin qui niente di nuovo. La novità risiede nel modo in cui, nel “Ddl concretezza”, tutto questo prende forma. A quanto detto si salda l’idea della società-prigione e del controllo totale, fondata su una sfiducia radicale nelle possibilità della cooperazione sociale.

Circa un secolo di sociologia del lavoro e di teoria dell’organizzazione vengono archiviate, pure nelle sue versioni paternalistico-totalitarie comunque fondate sulla complicità capitale-lavoro e sull’adesione dei lavoratori al progetto aziendale. Oltre all’insipienza, sembra di scorgere la malafede in un meccanismo punitivo che chiunque conosca un minimo il lavoro pubblico sa essere non solo ingiusto, ma di sicura inefficacia. Significative porzioni di lavoro pubblico sono interessate da ambienti organizzativi e meccanismi istituzionali che non premiano, ma mortificano l’iniziativa individuale, che non valorizzano la cooperazione, né concedono autonomia e, in generale, si confrontano con bisogni crescenti della propria utenza e la frustrazione di poterne soddisfare sempre meno. Il tutto sullo sfondo di una ormai pluriennale campagna di discredito nei confronti del pubblico e dei suoi lavoratori. A tutto questo non servono impronte digitali o telecamere, ma nuove assunzioni e ringiovanimento del personale oltre che una drastica semplificazione delle procedure e una diversa organizzazione del lavoro.

In verità questa visione è complessivamente fondata sull’idea che le persone insieme non possano produrre qualcosa di buono. Non si tratta solo di analfabetismo delle relazioni sindacali, di irresponsabilità verso la cosa pubblica e i servizi pubblici. Non è solo propaganda becera o il tentativo di rimestare nella rabbia diffusa per un paese che non funziona e il senso di solitudine generalizzato di un paese più povero e vulnerabile.

Siamo di fronte ad un’idea genuinamente di destra. Una sorta di tipo puro dello sguardo di destra sul mondo, che corrisponde a una manifestazione da laboratorio, capace di mettere in crisi tutte e tutti coloro, compresa chi scrive, che in questi anni hanno pensato che le categorie destra-sinistra faticassero a raccontare la vicenda politica contemporanea. Al fondo si rinviene l’idea dell’irriducibile irrazionalità del reale, un disordine primigenio con cui la politica (di destra) deve fare i conti e che in questa sperimentata versione può essere fronteggiato solo con un esteso sistema di controlli e punizioni. Ci pensa il “Ddl concretezza” con vecchie e nuove modalità di sorveglianza: dal ricorso alle prefetture, all’attivazione di sistemi di controllo biometrici ad alta sofisticazione tecnologica (come la rilevazione delle impronte digitali o il controllo dell’iride). Si annuncia applicata su larga scala – oltre 3 milioni di persone – una pratica intrusiva della privacy e lesiva dei diritti dei lavoratori (articolo 4 dello Statuto dei diritti dei lavoratori), come rilevato dal garante e denunciato dalle organizzazioni sindacali. Qui il controllo ossessivo è giustificato in nome dell’efficienza, ma, insieme a quello fondato sulla sicurezza e quello “soft e a tratti inconsapevole” dato dall’utilizzo dei social, sembra realizzare la distopia orwelliana del controllo totale: telecamere a scuola, nei condomini, negli angoli delle strade, social network che sanno tutto di noi e adesso impronte digitali nei luoghi di lavoro. È il trinomio efficienza-sicurezza-valorizzazione a fondare la società del panopticon che va costruendosi. Nel sogno antico del potere assoluto trovano spazio gli interessi contemporanei del capitalismo che sul controllo, la conoscenza, la mappatura e capacità di modificare i comportamenti si gioca la sfida principale. Ed è sullo stesso terreno che ci giochiamo la nostra rinnovata battaglia per la libertà.

*Claudia Pratelli ha un dottorato di ricerca in Sociologia ed è stata ricercatrice precaria e attivista sindacale. Attualmente è assessora al III Municipio di Roma, oltre che attivista del circolo Arci Sparwasser.

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