di Maria Pellegrini.

Giulia Domna, figlia di un sacerdote del dio Sole, El-Gabal, venerato dai Siriani, nasce intorno al 170 d. C a Emesa, oggi Homs, una località carovaniera della Siria. Il suo nome è Meret che nella traduzione latina “Domna” (forma contratta di “Domina”) significa “signora”,“padrona”, dunque nel nome è previsto il suo futuro di imperatrice o regina. Riceve un’educazione letteraria, studia letteratura greca e retorica, si interessa di filosofia, nel 187 sposa, quando non ha ancora 18 anni, Settimio Severo (il futuro imperatore) che nel 185 è rimasto vedovo per la morte di Paccia Marciana, sua prima moglie. Giulia Domna lo segue a Lione dove egli ricopre l’incarico di governatore della Gallia Lugdunense; qui nel 188 nasce il suo primo figlio Lucio Settimio Bassiano, che poi il padre vorrà chiamare Marco Aurelio Antonino, per suggerire una parentela con la dinastia degli Antonini mentre da imperatore sarà ricordato come Caracalla, soprannome dovuto al mantello di origine gallica che era solito indossare. Nel 189 la famiglia, trasferita a Roma, è arricchita di un secondo figlio, Geta. Nella Vita di Geta della “Historia Augusta”, si legge “Quando (Geta) nasce, è annunziato che una gallina a corte ha partorito un uovo color porpora. […] Il fratello Bassiano lo ha preso come fanno i bambini e lo ha distrutto gettandolo a terra. Si dice che Giulia abbia commentato per scherzo, ‘Assassino, hai ucciso tuo fratello’!” L’aneddoto leggendario prefigura ciò che sarebbe avvenuto in seguito: Geta sotto gli occhi di Domna sarà ucciso da Bassiano, deciso a governare senza condividere il potere con il fratello più giovane. Il colore purpureo dell’uovo è quello della veste imperiale.
Settimio Severo diviene imperatore dopo un periodo di anarchia militare seguìto alla morte di Commodo, ucciso da una congiura nel 192. Eliminati i concorrenti, il 1 giugno del 193 Settimio Severo si fa designare imperatore dai suoi legionari mentre è in Pannonia; Giulia Domna durante la campagna militare di Settimio Severo contro il rivale Pescennio Nigro in Asia Minore, condivide con il  marito l’intera spedizione in condizioni difficili mentre l’esercito marcia contro Nigro fino alla vittoria nel marzo 194. Domna già nominata “Augusta”, riceve anche il titolo di “mater castrorum”, madre dell’accampamento, per la sua presenza tra i soldati di cui si è meritata l’affetto e la stima. L’esercito, molto importante per il consenso e l’assegnazione del potere, è così legato all’imperatrice in un rapporto madre-figlio.
Giulia Domna è sempre partecipe e coinvolta nella politica e nelle decisioni di Severo, spesso lo asseconda o lo incoraggia, rafforzando il ruolo dell’imperatrice secondo il costume orientale che da tempo riconosce più spazio politico e potere alle donne, processo che già sta avvenendo nella società romana a partire da Livia, moglie di Augusto.
Settimio Severo associa alla guida dell’impero i figli Geta e Bassiano. Molto spazio è dato alla famiglia imperiale e a Giulia Domna che, in quanto madre della dinastia dei Severi, assume un ruolo di primo piano. L’idea che si vuole trasmettere, anche attraverso immagini scultoree che rappresentano la famiglia imperiale, è che gli dei hanno scelto alla guida di Roma l’intera famiglia legittimando così la discendenza. La concordia tra i membri della famiglia garantisce eternità all’impero.
Per i primi cinque anni di potere si diffondono statue, monete, bassorilievi che testimoniano l’unità familiare della coppia imperiale. Risale all’inizio del 200 un famoso ritratto di Giulia Domna, Settimio Severo, Bassiano e Geta (il cui volto risulta però cancellato perché quando Bassiano nel  211 lo ucciderà farà eliminare ovunque la sua immagine). Sull’Arco di Settimio Severo a Leptis Magna, città natale dell’imperatore, realizzato 203, l’imperatrice compare sei volte, provando che Domna è sempre al centro delle vicende imperiali. In un rilievo che si trova a Roma all’interno dell’Arco degli Argentari, Severo e Domna compiono insieme una libagione: la presenza dell’imperatrice risponde al mutamento nella tradizione precedente quando alle donne era proibito partecipare ai sacrifici pubblici. L’imperatrice ha la mano destra levata, rivolgendo in avanti la palma, gesto religioso dell’Oriente semitico. Giulia Domna e Settimio Severo sono presi a modello dalla nuova élite cosmopolita del III secolo residente a  Roma, dove Domna ha ricongiunto intorno a sé la sua famiglia di Emesa: la sorella Giulia Mesa e il marito di Giulia, le figlie della coppia, Giulia Mesa Soemia e Giulia Mamea, e poi i mariti di queste, originari della Siria.
Nel 204 Settimio Severo celebra i “Ludi Saeculares”, per esaltare la gloria di Roma garantita dall’unità della coppia Domna-Severo e della sua famiglia. Domna guida centonove matrone romane che celebrano il rito più importante,  uno dei pochi riservato interamente alle donne: Severo detta alla moglie e alle matrone la formula con la quale esse invocano la dea Giunone perché garantisca la potenza del popolo romano.
A corte, grande rivale di Domna è Plauziano, il prefetto del pretorio, parente di Settimio Severo, il quale tra il 202 e 203 cerca in tutti i modi di ridimensionare il ruolo politico dell’imperatrice, accusandola anche di adulterio e di altre bassezze infamanti. Il potere acquisito dal prefetto del pretorio presso Severo è sancito dal matrimonio che nel 202 unisce sua figlia Plautilla con il giovanissimo Bassiano.
Tra il 200 e il 205 Domna, mentre si rafforza il potere di Plauziano, si allontana dalla scena politica e riunisce intorno a sé un nutrito gruppo di intellettuali, composto da retori e studiosi di filosofia. Si tratta di un circolo aperto a diversi apporti e inizialmente composto solo da coloro che a corte devono educare i figli Bassiano e Geta. Le personalità di maggiore rilievo del circolo sono Antipatro di Ierapoli, Flavio Filostrato, detto l’Ateniese, il romano Severo Eliano e il famoso medico greco Galeno.
Giulia Domna è la prima donna del periodo imperiale a esporsi e a dimostrare pubblicamente i suoi interessi per discipline “maschili” come la retorica e la filosofia. “Il caso di Domna può essere visto come una stravaganza permessa all’imperatrice grazie al suo stato altolocato e differente, ma può anche significare che, almeno per le donne di classe sociale privilegiata, gli studi privati in questi campi non erano poi così inaccettabili e rari”, scrive Annelise Freisenbruch, nel suo volume “Le donne di Roma”.
Nel 208, insieme ai figli, Domna segue il marito nelle fredde e inospitali regioni della Britannia dove i Caledoni, muovendo dai confini settentrionali invadono e devastano spesso la provincia romana, e per due anni lei, che è abituata al sole e alle temperature del clima mediterraneo, si sottopone al rigido clima, nebbioso, freddo e piovoso di quella regione. Tuttavia Cassio Dione la descrive curiosa e interessata alle consuetudini di quel popolo ostile narrando una sua conversazione con la moglie di un capo dei Caledoni alla quale chiede la ragione della libertà sessuale delle donne della sua gente. La donna caledone risponde che è preferibile apertamente concedersi agli uomini più valorosi che farlo di nascosto con i più vili come si comportano le donne romane.
Durante questa spedizione, Severo muore nel febbraio 211, lasciando l’impero ai due fratelli, cui il padre raccomanda “di andare d’accordo e di pagare bene i soldati”.
I due fratelli, che non hanno ereditato le virtù paterne, sono insieme solo nella cerimonia della deificazione del padre, ma poi sono l’uno contro l’altro. A un certo punto sembra che si siano accordati per dividersi l’impero, Europa al più vecchio, Asia al più giovane. Domna si oppone, anche il Senato conta sulla sua opera mediatrice per mantenere l’unità. A lei si attribuiscono altri appellativi: “Mater Augustorum”, “Pia”, “Felix”, “Mater Senatus et patriae”.
Alla fine del 211, la morte di Geta fatto assassinare dal fratello davanti agli occhi della madre, mette fine alle loro ostilità. Cassio Dione nella sua “Storia romana” racconta il fatto con toni altamente drammatici.
Rafforzato il proprio potere, Bassiano, divenuto imperatore con il nome voluto dal padre Marco Aurelio Antonino, detto poi Caracalla, rende partecipe delle sue decisioni la madre che lo ha perdonato. Tra loro si stabilisce un rapporto di collaborazione politica molto stretto per cinque anni. Nel 217 Caracalla presso Carre, mentre muove contro i Parti, è ucciso in seguito a una congiura ordita dal prefetto del pretorio Macrino. Quando viene a sapere dell’assassinio, Giulia Domna cerca di uccidersi, ma sopravvive. Inizialmente Macrino, eletto imperatore dai suoi soldati, riconosce il suo ruolo di Augusta a corte, ma in seguito la esilia ad Antiochia, in Siria, e lei si lascia morire rifiutando il cibo, indotta forse degli insegnamenti stoici che considerano  il suicidio una scelta morale  di fronte alla tirannia. È sepolta nel Mausoleo di Adriano insieme al marito e divinizzata.
Le notizie infamanti su adulteri e congiure da lei orditi, sull’incesto col figlio Caracalla, e addirittura sul matrimonio con lui, sono pure falsità divulgate per ragioni politiche dovute alle iniziative del prefetto del pretorio Plauziano per screditare una donna intelligente e colta, che ha aperto le porte della sua corte ai più importanti intellettuali del tempo i quali le attribuiscono l’appellativo di “imperatrice filosofa”.
Cassio Dione le riserva queste parole: “Perse il figlio minore, ucciso tra le sue braccia, detestò il maggiore fino alla fine e seppe che era stato assassinato, sperimentò la perdita del potere e si uccise: pertanto, considerando la sua vita, ci si può chiedere se sia davvero felice chi giunge al culmine del potere, quando non sia assistito da un piacere della vita autentico e reale e da una buona sorte completa e duratura”.

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