Tommaso Di Francesco

 

Alla fac­cia della die­tro­lo­gia, lunedì sera la Casa bianca ha annun­ciato la pre­senza a Kiev del capo della Cia John Bren­nan. Dun­que è uffi­ciale: il respon­sa­bile delle guerre coperte ame­ri­cane in Iran, Libia e Siria, le ultime due dege­ne­rate in disa­strosa guerra aperta, è ope­ra­tivo sulla piazza di Maj­dan pronto a com­bi­nare altret­tanti effetti disa­strosi. Ora la pre­senza dell’intelligence Usa nella crisi ucraina è uffi­ciale, ma certo è stata pre­sente da subito nel con­flitto inte­stino che si è inne­scato per almeno quat­tro mesi con la pro­te­sta dif­fusa di una parte del popolo ucraino, prima con­tro la cor­ru­zione, poi filo-europeo e anti­russo, poi solo anti­russo. Una pro­te­sta volta a volta ete­ro­di­retta e di segno sem­pre più can­giante e sem­pre più radi­cale, fino a diven­tare vio­lenta sotto la guida orga­niz­zata dei gruppi para­mi­li­tari della forte estrema destra ucraina. E fino a far sal­tare l’equilibrio rag­giunto a Monaco tra Usa e Rus­sia a metà feb­braio che pre­ve­deva ele­zioni con­cor­date entro l’estate, l’uscita di scena mor­bida dell’ex pre­si­dente Yanu­ko­vich, un nuovo assetto isti­tu­zio­nale del paese.
Una crisi pre­ci­pi­tata fino al pro­nun­cia­mento d’indipendenza della — di fatto — russa Cri­mea con pronta ade­sione, bene accolta, alla Russia.

Ora la crisi rasenta ancora una volta il con­fronto mili­tare tra occi­dente atlan­tico e Rus­sia, che fino a prova con­tra­ria sem­pre Europa è.

Eppure il nemico sovie­tico non c’è più da 23 anni e si fa fatica a pen­sare, se non come ad un vin­tage, ad una azione mili­tare di Putin come fosse l’invasione dei carri armati di Praga e il ’56 unghe­rese. Un imma­gi­na­rio che torna utile ai media e all’ideologia guer­ra­fon­daia, ma non è così: a Mosca come in tutto l’est, domi­nano — ancor­ché in crisi — i valori di mer­cato dell’Occidente e la Nato ha inglo­bato tutti i paesi dell’Est tranne la Rus­sia e non ancora com­ple­ta­mente l’Ucraina e gli stati della Csi. In Cri­mea poi le truppe russe sono state accolte dav­vero come libe­ra­trici. Anche le even­tuali forze mili­tari ame­ri­cane che rag­giun­ges­sero Kiev pro­ba­bil­mente sareb­bero accolte così, per­ché quella piazza più che filoeu­ro­pea è filoa­tlan­tica e filoamericana.

Così men­tre da Washing­ton, da die­ci­mila chi­lo­me­tri di distanza, sicuri com­men­ta­tori ita­liani (men­tre Gree­n­wald viene insi­gnito del pre­mio Puli­tzer per aver sco­per­chiato, con Sno­w­den, lo scan­dalo Data­gate) ci assi­cu­rano che si è sfio­rato il casus belli con un aereo russo che ha sor­vo­lato una nave mili­tare Usa «di tanto così» — let­te­ral­mente, come se il gior­na­li­sta fosse lì a vederlo – nes­suno si chiede che cosa ci stanno a fare le navi mili­tari ame­ri­cane nel Mar Nero a ridosso dei con­fini russi se non per moti­vare l’esistenza di un nuovo nemico.

E la Nato per bocca dell’uscente di scena Rasmus­sen ammo­ni­sce Mosca a tenere le sue truppe lon­tano dai con­fini: vale a dire dice a non avere truppe russe sul ter­ri­to­rio russo, quello più sen­si­bile.
E que­sto men­tre le truppe ame­ri­cane sta­zio­nano nei quat­tro punti car­di­nali del mondo e in Iraq, Afgha­ni­stan, sono pure impe­gnate in guerre spor­che.
Come finirà? E’ legit­timo imma­gi­nare che ci tro­viamo di fronte all’ennesimo risiko di dichia­ra­zioni e mosse mili­tari sullo scac­chiere deli­cato dei con­fini tra Europa orien­tale e occi­den­tale. E la tele­fo­nata di Putin a Obama è lì a testimoniarlo.

Il lea­der russo assi­cura che non ha inte­resse a fomen­tare le rivolte nell’est ucraino per fare come con la Cri­mea, spinge solo sulla fede­ra­liz­za­zione del paese e sulla sua neu­tra­lità dalla Nato. La cui stra­te­gia di allar­ga­mento a est è all’origine della crisi con la Rus­sia, non il con­tra­rio.
Intanto con­ti­nuano le rivolte vio­lente e spesso di massa nell’Ucraina orien­tale, delle quali si rimane stu­piti come fosse l’orrore tout court. Dimen­ti­cando, sme­mo­rati, di quanto sia stata mol­cita, applau­dita, apprez­zata, decan­tata in Europa e negli Usa la rivolta degli «eroi» (come li apo­strofò, ancora dal car­cere, la «prin­ci­pessa del gas» Iulia Tymo­shenko) anche armati di piazza Maj­dan men­tre ancora si tace sulle reali respon­sa­bi­lità del lavoro dei cec­chini su quella piazza.

Ma è dif­fi­cile imma­gi­nare che finirà come per la Cri­mea: i russi nelle regioni dell’est sono assai infe­riori di numero che non in Cri­mea, e radi­ca­liz­zare lo scon­tro vor­rebbe dire rie­di­tare la san­gui­nosa guerra inte­ret­nica dei Bal­cani negli anni Novanta. Pro­dromo di una defla­gra­zione ancora mag­giore e dagli esiti a dir poco incerti.

Né Putin né Obama pos­sono volerlo e infatti trat­tano. Ma dov’è l’Unione euro­pea? Non esi­ste, non ha ruolo alcuno. È all’origine della crisi con il suo impro­ba­bile allar­ga­mento che si riduce all’associazione, ma tace. Al posto della diplo­ma­zia di Bru­xel­les parla la Nato. Ecco l’altro limite dell’Europa reale: non solo è una moneta che affama buona metà del vec­chio Con­ti­nente, ma è in poli­tica estera solo un patto mili­tare, l’Alleanza atlan­tica. Gli inte­ressi stra­te­gici di poli­tica estera, per le fonti di ener­gia e sulla sicu­rezza, sono nelle mani di un altrove che non è la sede delle isti­tu­zioni comu­ni­ta­rie. Fino a quando?

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