di Leonardo Caponi

 

PERUGIA  - Nel nostro Paese, particolarmente si potrebbe dire in esso, esiste una gran quantità di organismi associativi volontari nei campi più diversi, sindacale, sociale, sportivo, civile, economico. E’ un “movimento” che coinvolge centinaia di migliaia, anzi milioni, di persone e che, per fortuna, si propone in  controtendenza rispetto allo stereotipo dominante di un Paese apatico e rassegnato. Gli organismi direttivi di queste associazioni sono, tutti, rigorosamente eletti col sistema proporzionale e le preferenze ad personam. A chi verrebbe mai in mente di proporre ad una assemblea sindacale o ad una semplice riunione di condominio di votare, anche con liste concorrenti, col sistema maggioritario? A nessuno, naturalmente; perché? Perché il proporzionale è, come dire?, il più “naturale”, quello più democratico e “giusto”, rispondente alla realtà, che impedisce la distorsione rappresentata dal fatto che il voto di uno o più elettori, a seconda che si schierino o meno con la lista vincente, possa valere il doppio o il triplo di altri. Le uniche sedi nelle quali, da molti anni a questa parte, questo sistema non è più usato sono le assemblee elettive istituzionali, il Parlamento, i Consigli regionali, comunali e via di seguito.

   In origine la scelta fu motivata con l’esigenza della “governabilità”. A questa successero poi la lotta al clientelismo e alla corruzione e l’obiettivo di avere istituzioni più efficienti, anzi più “veloci”, al servizio dell’economia, delle imprese e, immancabile!, della competitività. In questi ultimi venti anni una delle attività più praticate dalla maggioranza del mondo politico è stata quella di redigere e cambiare leggi elettorali di stampo maggioritario e presidenzialista. La fantasia al potere! Se ne sono escogitate di tutti i tipi; un vero e proprio fuorilegio di norme (ogni Regione ha o può avere la sua), sempre complicate, spesso bizantine, in alcuni casi fraudolente fino al punto di far dire agli estensori materiali che si era in presenza di “vere e proprie porcate”. Dopo venti anni esatti (il “Mattarellum” fu sperimentato per la prima volta nelle elezioni parlamentari dei ’94) è doveroso trarre un bilancio. E’ stata ottenuta la governabilità? Si è spezzato l’intreccio affari politica e la corruzione è stata sconfitta? L’economia va meglio? Domande di facile risposta negativa. Nel frattempo però è avanzata una crisi democratica senza precedenti recenti, testimoniata dalla discesa della soglia dei votanti sotto al 50%, e dall’immagine di un Paese sfiduciato, diviso e smarrito. La democrazia italiana, come faceva rilevare Mariotto Segni, uno dei padri anche se accantonato del nuovo corso, ha cambiato di segno: da democrazia di massa è divenuta democrazia di elite. Si è affermata o si sta affermando una concezione culturale secondo la quale le moderne società “complesse” possono e devono essere governate da ristretti gruppi a ciò abilitati. E’ discutibile perché lo scopo sovrano di questa tesi è quello di “separare” il sistema politico istituzionale dalla società reale, fino a renderlo ad essa impermeabile. Gli effetti, che ciascuno può giudicare a modo suo, sono quelli sopra descritti.

   Sono astruse queste considerazioni nella piccola Umbria alle prese con la scrittura della nuova legge elettorale? E’ preventivabile, per la prossima primavera, anche in questa regione una percentuale di disaffezione dal voto analoga a quella, recente, della Emilia Romagna? Certo le regole elettorali sono solo una parte del problema, ma esse andrebbero modellate sull’esigenza di “rinvogliare” gli elettori all’impegno civile. Alcuni osservatori, critici verso la discussione in corso, fanno notare che essa, piuttosto che da obiettivi generali, è ispirata in prevalenza da logiche di tutela territoriale e, come si dice, di bottega dei vari partiti, specie quelli maggiori e dei candidati o aspiranti tali. Interessi, beninteso, legittimi; ma forse allargare lo sguardo alla crisi di un sistema che, se crolla, travolge tutti, non sarebbe male.

 

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