La degradazione del lavoro
di Harry Braverman
Le funzioni improduttive che, da attività particolari e privilegiate, strettamente legate al capitale, si sono trasformate in divisioni all’interno della grande impresa o in varie ‘industrie’ separate e autonome, hanno ora creato i loro eserciti di salariati le cui condizioni sono in generale analoghe a quelle della manodopera organizzata nella produzione (…). Per i lavoratori, la distinzione tra le varie forme determinate del lavoro diventa sempre meno significativa. Nella fabbrica e nell’ufficio di oggi il divario tra le forme e le condizioni di lavoro, che un tempo sembrava tanto ampio, si è ormai ristretto (…). Le occupazioni improduttive hanno quasi completamente perso la loro attrattiva e sono diventate semplicemente un’altra forma di sfruttamento (…). I pochi salariati commerciali (…) sono diventati la vasta e complicata struttura del lavoro improduttivo tipica del capitalismo moderno. Ma in tal modo essi hanno perso molte delle ultime caratteristiche che li separavano dagli addetti alla produzione. Quando erano pochi, si differenziavano dai lavoratori produttivi; ora che sono tanti, sono divenuti uguali a questi ultimi. Sebbene il lavoro produttivo e quello improduttivo siano tecnicamente distinti, e sebbene il primo tenda a diminuire a misura che la sua produttività si accresce, mentre il lavoro improduttivo è aumentato solo come effetto dell’aumento dei plusvalori generati dal lavoro produttivo, le due masse di lavoratori non sono più in stridente (…). Essi formano una massa continua di lavoro che attualmente, a differenza dei tempi di Marx, ha tutto in comune” (“Lavoro e capitale monopolistico”, Einaudi, 1978, pp.420-425).
Domenica
14/12/14
14:56
La mancanza di lavoro è solo l'effetto.
Per eliminare o ridurre l'effetto, bisognerebbe individuare la causa che lo genera.
Invece il dibattito politico si ferma troppo spesso solo sulla valutazione superficiale di come eliminare l'effetto.
E' come se si discutesse su come sia meglio stuccare una crepa muraria senza indagare prima delle cause che la hanno provocata.
Se non si individuano le cause é inutile discutere su come stuccarla (eliminare l'effetto) perché prima o poi, con olta probabilità la crepa si rimanifesterà!
Non mi pare che si faccia molto per mettere a fuoco le cause che provocano la "crisi" e di conseguenza la mancanza di lavoro.
Il tema, in effetti, non é semplice, perché richiede politici dotti e intelligenti con ampia cultura, che sappiano almeno quanto sanno chi genera questi effetti, che non sono casuali perché generati da chi é interessato a che invece la crisi ci sia e sia durevole.
Possibile che chi ha l'onere di governarci al meglio, non riesca a mettere a fuoco le cause della crisi ed eliminarle sapientemente e invece di fare questo ragionamento ovvio promuove l'analisi degli effetti senza indagare sulle cause?
Se l'analisi é giusta, il problema di come contrastare la crisi e creare lavoro per tutti, allora ne evidenzierebbe un altro che andrebbe risolto prima, perché condiziona la soluzione del secondo.
Domenica
14/12/14
18:35
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