di Leonardo Caponi.

Che e come lo Stato trasferisca la ricchezza dai poveri ai ricchi - tradendo in pieno il suo ruolo fondamentale di redistributore e aumentando, anzichè frenarla, la diseguaglianza - era un vecchio adagio della sensibilità popolare stimolato da un documentato atto di accusa permanentemente lanciato dal vecchio PCI, proseguito poi, con minore forza, da Rifondazione Comunista e poi, via via, smarritosi nel corso degli anni (forse perchè catalogato, dalla nuova sinistra da salotto, tra l'inutile armamentario "novecentesco" del quale liberarsi).

Gli strumenti col quale lo Stato alimenta questa operazione sono molteplici; si pensi alla gigantesca evasione e, più ancora, elusione fiscale che è un fatto di classe, non un male endemico di tutti gli italiani.

Non dispongo di dati aggiornati che, per questo, citerò con parsimonia, ma la sostanza non cambia. In Italia il monte redditi da lavoro dipendente e da lavoro autonomo è pressochè coincidente (i lavoratori dipendenti sono circa 16 milioni, quelli autonomi circa 4,5). La differenza consiste nel fatto che i due terzi dell'introito fiscale dello Stato proviene dai lavoratori dipendenti e un terzo da lavoro autonomo. Se le tasse che lo Stato incamera ammontano a circa 500 mila milioni di euro. circa 150/170 mila provengono da industriali, finanzieri, professionisti, commercianti, artigiani e tutto il resto dai dipendenti. Ma c'è di più. Molto di più. Lo Stato paga, ogni anno, per interessi sul debito circa 65 miliardi di euro. E' vero che i detentori di BOT e CCT (cioè i titoli di stato) sono molto numerosi (qualche anno fa si calcolavano in circa 22 milioni, ultimamente credo vi sia stata una contrazione), ma, come dire, il grosso dei titoli e quindi il loro valore è concentrato in poche mani, i potentati dell'economia e della finanza (società finanziarie, grande industria, assicurazioni, banche, imprese del web e delle reti telematiche) che, paradossalmente, come abbiamo visto, sono quelle che non pagano o pagano poche tasse. Cioè chi più da al fisco, meno riscuote. La obbligatoria nominatività dei titoli di stato, finanziari e delle spa, una tassa come la Tobin tax (ideata da un'economista non comunista, ma liberale) per intervenire e colpire (uso volutamente questo termine) le grandi transazioni e speculazioni finanziarie e le loro imponenti elusioni ed evasioni sono una misura minima di redistribuzione della ricchezza.

Adesso inoltre, il cosidetto governo gialloverde si troverà a dover applicare la ricetta classica, di scuola si potrebbe dire, del capitalismo e del liberismo. Diminuire le imposte dirette e aumentare quelle indirette (sulla linea di quella ricetta che, per trenta anni, ha fallito in Italia ed in Europa). Questa sarà un altra misura che accrescerà le distanze tra ricchi, sempre meno e poveri, sempre più. I Cinquestelle sono pienamente integrati in questa logica e cultura che, fatte salve battaglie isolate, spesso tradite, non si sognano di mettere in discussione. Ci vorrebbe una nuova sinistra. Ma qui viene il bello.

Condividi