di Maria Pellegrini

 

Siamo nell’anno 64 a. C., Cicerone presenta la sua candidatura al consolato. Il celebre oratore, nato nel 106 a. C ad Arpino da famiglia equestre, è un “homo novus”: così è definito ogni cittadino della Repubblica che intraprenda la carriera politica senza avere in famiglia un antenato che abbia avuto una magistratura curùle, cioè di quelle che conferiscono il diritto di far uso della sella curule, un seggio d’avorio simbolo d’autorità (censura, consolato, pretura, edilità). Provenendo dal rango equestre è particolarmente sensibile alle ragioni del suo ceto. Dalla seconda metà del III secolo gli “equites”, i cavalieri, cominciano a trasformarsi da formazione militare in nuova categoria sociale, l’ordine equestre, che era per approssimazione quello che oggi potremmo definire borghesia, cioè imprenditori, membri di società finanziarie, di appalto, di trasporto, di commercio. Gli “equites” per la potenza finanziaria raggiunta costituivano nel II secolo a. C. importanti gruppi di pressione nei confronti del potere politico. Cicerone, che è un uomo ambizioso oltre che brillante oratore, filosofo eclettico e uomo politico, aspira alla più importante delle magistrature, il consolato.

Documento della campagna elettorale di quell’anno - che vedeva come suoi temibili e agguerriti concorrenti Antonio Ibrida e Catilina - è la lettera “Ad Marcum Tullium Ciceronem”, passata poi alla storia con il titolo “Commentariolum petitionis”, “Manualetto per la campagna elettorale”, scritto secondo la tradizione da Quinto Tullio Cicerone con l’intento di suggerire al fratello, Marco Tullio Cicerone, norme di comportamento per ottenere il consenso degli elettori e per consigliare spregiudicate strategie che ne facilitino l’elezione rovesciando la sfavorevole situazione di partenza di “homo novus”.

Questo manualetto è un’innegabile testimonianza risalente a più di duemila anni fa sul modo di concepire una campagna elettorale i cui metodi per conquistare il consenso e il voto sono gli stessi praticati ai nostri tempi, considerando tuttavia il contesto profondamente diverso. La situazione politica e sociale degli anni immediatamente precedenti e seguenti il 64 a. C., anno durante il quale si svolse la campagna elettorale di Cicerone, è caratterizzata da profondi rivolgimenti e violente contese, da vere e proprie guerre (contro Sertorio in Spagna, contro la rivolta degli schiavi capeggiata da Spartaco, contro i pirati che infestano il mar Mediterraneo, contro Mitridate) e da lotte interne, premessa delle future guerre civili e della fine della repubblica. Dopo la morte di Silla, Pompeo e Crasso nel 70 a. C. impongono con la minaccia dei loro eserciti la propria elezione a consoli, e in tale loro qualità smantellano la costituzione sillana, rigidamente aristocratica, riportando nello stato romano una parvenza di democrazia, sia pure di breve durata. Nello stesso anno Cicerone vede accresciuta e consolidata la sua fama di oratore in seguito al processo intentato da varie città della Sicilia contro l'ex-governatore Verre, accusato di malgoverno e concussione. Nel dicembre del 66 a.C. Cicerone rifiuta l’incarico di governatore di una provincia e inizia a programmare la sua campagna elettorale. La situazione politica e sociale di quegli anni è dominata da intrighi, ambizioni personali, ricerca del potere per il potere. Sono gli anni della contrapposizione tra i custodi dell’antica repubblica, basata sull’indiscusso predominio della nobiltà senatoria e i fautori di quella nuova classe sociale che si è affermata non per meriti di sangue, ma grazie alle proprie virtù personali e meriti professionali e che ora invoca il riconoscimento dei propri diritti.

Il primo consiglio che Quinto dà a Marco è dedicato a come ovviare agli svantaggi di essere un uomo nuovo: “Quando ogni giorno ti rechi al Foro, pensa a questo: ‘sono un uomo nuovo, aspiro al consolato’. Potrai porre rimedio a ciò con la tua rinomanza di oratore. L’eloquenza ha goduto sempre di grande considerazione; non può ritenersi indegno del consolato chi è ritenuto degno di patrocinare uomini di rango consolare”.

Unico scopo per un candidato (il termine candidato, usato anche oggi, deriva dal fatto che durante la campagna elettorale, chi vi partecipava, indossava una toga candida) è ottenere i consensi, piacere a tutti. Ecco dunque un tema ricorrente nei consigli suggeriti da Quinto al fratello: la ricerca di amici, strumento essenziale per il conseguimento dei propri obiettivi elettorali. L’amicizia è intesa come rapporto utilitaristico e interessato, basato sul “do ut des”, sulla speranza di ricavare vantaggi. Durante la campagna elettorale, l’amicizia non può essere sincera e spontanea, anzi si serve della simulazione e dell’adulazione. Così scrive Quinto: “L’appellativo ‘amici’ durante la campagna elettorale ha un valore più ampio che nel restante arco della vita: chiunque mostri nei tuoi confronti una qualche forma di interesse, chiunque ti frequenti e si rechi spesso in casa tua deve essere ascritto nel numero degli amici”. Si rende necessario procurarsi una fitta rete di rapporti ma soprattutto il sostegno dei nobili: “occorre pregarli tutti, uno per uno, avvicinarli e persuaderli che hai sempre nutrito nei confronti dello Stato gli stessi sentimenti degli ottimati e quasi mai quelli dei popolari”. Del resto ciò non era difficile a Cicerone che, dopo una primissima fase di appartenenza al partito dei popolari difende quasi continuamente gli interessi degli ottimati - cioè di quei ceti economicamente e socialmente più forti, che fino ad allora hanno saldamente detenuto il monopolio della cariche pubbliche - e teme i popolari che propugnano audaci riforme politiche, economiche e sociali, facendo leva sul malcontento di chi è tenuto ai margini del potere.

Quinto tuttavia gli consiglia un atteggiamento prudente: mai schierarsi apertamente o esporsi, e invece sollecitare il consenso di ogni classe sociale lasciando intendere che, se eletto console, egli agirà per difendere i diritti di tutti. La sollecitazione al consenso deve essere diretta e personale: andare incontro a ognuno, stringere le mani, chiamare tutti per nome, lusingandoli, promettendo loro benefici, ma anche mostrando attenzione e sensibilità per i problemi banali e quotidiani di ciascuno. Come segno di popolarità e prestigio sarà utile apparire sempre circondato da schiere di accompagnatori, simpatizzanti e sostenitori. “Cerca e trova persone in ogni regione, conoscile, raggiungile, assicùrati il loro sostegno, preòccupati che nei loro quartieri facciano propaganda per te, quasi fossero candidati al tuo posto [...]. A proposito del seguito di simpatizzanti, devi cercare di averlo quotidianamente e che sia composto da gente di ogni categoria, ordine ed età, infatti proprio dall’affluenza degli accompagnatori si potrà dedurre quante forze e mezzi avrai quando si voterà […]. Sarà inoltre per te motivo di grande plauso e rispettabilità essere circondato da quanti hai difeso nei processi e, grazie a te, sono stati salvati e assolti dalle accuse ad essi contestate. Richiedi con fermezza una compagnia assidua a coloro che, grazie alla tua difesa, hanno messo in salvo chi il loro patrimonio, chi l’onorabilità, chi la vita, chi le sostanze: non si presenterà ad essi un’altra occasione in cui potranno sdebitarsi”.

La campagna elettorale - consiglia Quinto al fratello - deve essere condotta con “magnificenza”. Si deve testimoniare generosità offrendo banchetti, “facendo in modo che si possa accedere a te giorno e notte, che siano sempre aperte le porte della tua casa, ma anche quelle del tuo animo, attraverso le espressioni del volto e l’atteggiamento”, si deve considerare diversamente anche l’arte di adulare, “che se in altri momenti della vita è un vizio e una vergogna, durante la campagna elettorale è indispensabile”. Consigli, dunque, ispirati a un certo cinismo ma soprattutto a una studiata strategia per conquistare il più largo consenso possibile: “È necessario procurarsi amici di ogni ceto: per la facciata, uomini illustri per le loro cariche e per il loro stesso nome; per garantirsi l’appoggio della legge occorre invece avere il sostegno dei magistrati”[…] “Devi per di più portare dalla tua parte e operare per ottenere il consenso di quanti - grazie a te - hanno ottenuto o sperano di ottenere qualche favore […]. Adòperati dunque, con ogni mezzo a tua disposizione affinché essi siano tuoi sostenitori con tutto l’animo e la piena volontà”. E ancora: “Cerca di avere dalla tua parte i giovani dell’aristocrazia, o almeno di conservare il favore di quelli che già sono tuoi sostenitori: ciò ti procurerà grande prestigio. I giovani infatti sono molto attivi e leali nel procurare voti, nel visitare gli elettori, nel divulgare notizie, nell’accompagnare il candidato. Fa’ in modo che questi giovani sappiano quanta considerazione tu nutra per loro”.

Per togliere voti ai rivali Quinto consiglia di usare anche l’arma della denigrazione e dell’insinuazione: “Fa’ pure in modo che contro i tuoi avversari sorga qualche sospetto di infamia per crimini, lussuria, sperperi riguardanti la loro condotta di vita”. La propaganda politica, molto simile a quella attuale, deve servirsi di ogni mezzo. Al popolo non si presentano programmi, ma uomini perché siano giudicati e approvati. Il candidato richiede la carica come un riconoscimento, vantando a chiara voce i suoi nobili antenati o, in mancanza di essi, i propri meriti personali. La tattica migliore dunque è l’attacco “ad personam”: senza limiti e senza ritegno, e Cicerone usa le armi dell’oratoria per mettere in ombra i suoi avversari. Pronuncia un violento attacco contro Catilina e Antonio Ibrida, due temuti aspiranti alla carica, criticando i loro atti politici e privati. Riferendosi alla loro partecipazione alle proscrizioni sillane così si pronuncia su Catilina: “Chi può essere amico di uno che ha ucciso così tanti cittadini?” e qualifica Antonio Ibrida “un ruffiano nell’esercito di Silla, tagliagole sulla soglia di Roma”. E’ facile notare una certa attualità con le nostre campagne elettorali basate anche sulla demonizzazione dell’avversario, servendosi di mezzi spregiudicati e cinici.

Alla fine egli vince le elezioni e rivendica a se stesso il merito di aver spazzato le barriere della nobiltà, sicché a partire da quel momento l’accesso al consolato è aperto ai meriti personali non meno che alla nobiltà di nascita ricordando con orgoglio di non dovere nulla, per il proprio successo, ai suoi antenati: la sua ascesa nella scala degli onori è dovuta solo ed esclusivamente alle proprie doti.

                                                                                          

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