di Alfonso Gianni - Il Manifesto - 11.05.2019

In un’ampia intervista di due giorni fa al Sole24Ore, il ministro Tria ostentava sicurezza rispetto all’evoluzione della situazione economica del nostro paese. In particolare sulla possibilità che entro pochi mesi le stime della Commissione europea e quelle del governo italiano tornino a collimare, malgrado le attuali rilevanti differenze. Tale sicurezza gli deriverebbe dal fatto che le valutazioni negative della Commissione sarebbero fondate su un quadro “a politiche invariate”, ovvero non considererebbero gli impegni già presi dal governo nella legislazione e nel Def. Se si può definire temeraria una tale tranquillità d’animo, questo è il caso. Agli intervistatori che mettono in dubbio la credibilità degli effetti positivi attesi da tali politiche, in particolare le privatizzazioni per 18 miliardi, il ministro curiosamente risponde con un argomento che porta più acqua al mulino di Bruxelles che non al suo. Dice infatti che è prassi della Commissione non fidarsi degli impegni del governo, anche perché nel passato sono stati disattesi. Ma, secondo Tria, questa volta il governo è determinato ad applicare le decisioni, malgrado le baruffe al suo interno, costi quel che costi. Compreso l’aumento dell’Iva, forse con qualche piccolo correttivo nella distribuzione delle aliquote. Tria si era già dichiarato d’accordo sulla necessità di un simile aumento e avverte, dopo avere liquidato come impossibile la spending review, che per impedirlo bisogna tagliare la spesa, scelta che considera più virtuosa che non aumentare le tasse. “Ma – continua il ministro dell’economia – il problema è decidere dove si taglia”. Appunto. In realtà il ragionamento di Tria andrebbe completamente rovesciato. La scelta politica da compiere è dove e a chi aumentare le tasse. Tra le due alternative indicate da Tria c’è una terza soluzione che il governo pentaleghista, e anche l’inerte opposizione di Zingaretti, rifiutano di prendere in considerazione. Si chiama patrimoniale. La sua necessità e la sua realizzabilità sono confortate dai dati. Bankitalia e Istat hanno diffuso solo due giorni fa un rapporto che avrà frequenza annuale su “La ricchezza delle famiglie e delle società non finanziarie”, da cui emerge un quadro ulteriormente confermato sulla patrimonializzazione della ricchezza nel nostro paese. Dopo tre anni di calo la ricchezza netta delle famiglie italiane nel 2017 è tornata a crescere ed ha raggiunto la cifra di 9.743miliardi, otto volte il loro reddito e più di 4 volte l’ammontare del debito pubblico. Un dato che alla fine del 2017 poneva le famiglie italiane, quanto a ricchezza pro capite, al di sopra di quelle tedesche e, secondo l’Ocse, anche di quelle francesi, inglesi e canadesi. L’abisso delle diseguaglianze in cui è precipitato il nostro paese è testimoniato anche dai più recenti dati ufficiali provenienti dalle statistiche delle Finanze. Se da un lato aumentano povertà e miseria, fuori e dentro il mondo del lavoro, la stessa classe media si è ristretta e impoverita, perdendo il 12% del reddito dal 2008 ad oggi. Non solo in Italia, visto che l’Ocse certifica fenomeni simili in molti paesi a capitalismo maturo, ad eccezione, guarda caso, della Francia, ove assistiamo ad un ampliamento della classe media che rende ancora più aspra la condizione di chi sta in basso. La parte del leone della ricchezza patrimoniale delle famiglie italiane è data dagli immobili (il 49% nel 2017) che dunque continuano a costituire la principale forma di investimento delle famiglie, mentre le attività finanziarie hanno raggiunto i 4.374 miliardi di euro, sfruttando il migliore andamento delle azioni, ma con una incidenza inferiore a quanto accade nel resto d’Europa. Dal canto loro le imprese hanno accresciuto la ricchezza lorda rispetto al 2016 con un +3,7% grazie soprattutto all’incremento sensibile della componente finanziaria rispetto alle attività reali in continuo calo da cinque anni. In parole povere sono aumentate tanto la patrimonializzazione della ricchezza italiana, quanto la diseguaglianza della sua distribuzione, come la finanziarizzazione dell’attività imprenditoriale. Fenomeni certamente non ignoti, ma puntualmente confermati nel loro aggravamento. L’introduzione di una tassa patrimoniale che incida su tutte le forme di ricchezza, appare non solo indispensabile e socialmente equa, ma persino logica.

Condividi