Di Ciuenlai – Oggi interviene una voce fuori del coro rispetto agli interventi precedenti. Gianfranco Pannacci, redattore della pagina locale dell'Unità e membro della segreteria provinciale della Fgci degli anni 70, ed esponente di spicco del gruppo dirigente del Pci di Città di Castello, figlio del mitico sindaco Pino che la questione morale non la propagandò, ma la praticò sul campo. Da “riformista incallito” da una lettura del tutto diversa dei mutamenti della sinistra italiana ed umbra, dopo la caduta del muro di Berlino. E non sarà la prima voce fuori del coro. Un Dibattito è tale solo se propone voci diverse e non sempre concordi. Di seguito l'articolo di Pannacci:

“Alla domanda potrei rispondere che già negli anni ’80 era finito il “colore". Ha ragione Locchi quando riconduce alla caduta del Muro di Berlino lo snodo storico  emblematico di tutta la fase. Si sbaglierebbe, infatti, se si volessero individuare, come precipue, le responsabilità soggettive dei gruppi dirigenti umbri ed italiani, dagli anni 80 ad oggi. Ci sono anche quelle, ma hanno altra valenza. Abbiamo la tendenza a ragionare a prescindere dalle dinamiche storiche, come se fossero state rovesciabili volontaristicamente, come fa Leonardo Caponi . Locchi non lo fa perché, a differenza di Leonardo,  ha voluto e per molti volti versi, saputo vivere l’esperienza del PDS e dei DS. Un' esperienza  che  ha visto quei partiti provare a misurarsi con tutto quello che derivava da un quadro generale radicalmente mutato. Rappresentavano una linea di resistenza, che ha retto – con inevitabile fatica e con limiti profondi- per una certa fase, che vedeva l’Italia dentro una Europa ancora segnata  da una  qualche egemonia politico-sociale di tipo socialdemocratico. Bene, del resto , aveva fatto già il gruppo dirigente dell’ex Pci a cercare di collegarsi a quelle esperienze. In fondo, i comunisti italiani avevano saputo avere un ruolo rilevantissimo in quei magnifici 30 anni del dopo guerra, in cui l’Europa ha potuto sviluppare appieno le opportunità delle politiche ridistributive  .  E’ stata, quella del welfare, una vera propria stagione di creatività “ rivoluzionaria”, che ha consentito all’occidente di prevalere da questo punto di vista  sul “ sistema del socialismo realizzato “ . La sinistra   vi ha  potuto avere un ruolo, proprio perché il Pci aveva   preso per tempo le distanze da quelle esperienze, uscendo dalla logica terzonternazionalista che lo aveva inizialmente portato a stare fuori dal Mercato Comune Europeo . In questo contesto non sono mancate esperienze di eccellenza in Umbria, a livello di comuni, Provincie e anche di  Regione . Ne è derivato,  per lungo tempo, uno stabile, se non crescente consenso per la sinistra che governava le “ Regioni rosse”, per gli effetti di concreto e rapidamente percepibile progresso sociale e civile, prodotti in  questa realtà politico territoriale. In effetti l'insieme delle “ Regioni rosse “ era stato  vissuto a partire dagli anni ’60 ,  come “laboratorio”,  in una visione di competizione ancora quasi sistemica, che non potendo esprimersi al livello del governo nazionale lo faceva  a quello locale e come tale si è espresso per certi versi anche nella fase iniziale del regionalismo  istituzionalizzato. Quello che però non può sfuggirci oggi nell’analisi,  è che alcuni presupposti di quelle fasi sono venuti meno ad un certo punto  e che , ad un certo punto,  alcuni  si sono rivelati pregiudicanti. Fra quelli venuti meno, oltre alla sconfitta storica del socialismo, si deve più prosaicamente  prendere atto che,  a partire  dagli anni ’90 , si è determinato il restringimento  delle disponibilità finanziarie  che avevano sostenuto quella fase; venuto  a coincidere paradossalmente con l’allargamento dei poteri decentrati  ( riforma del Titolo V I vincoli di Mastricht sono venuti a condizionare il complesso della progettualità, proprio mentre si era potuta superare la “conventio ad escludendum”. La “sfida”  si è spostata, allora, dal sistema delle “ Regioni rosse” al “ sistema Italia“, dovendo per di più  fare i  conti con i derivati pesanti della globalizzazione. Fra quelli che si  sono  rivelati pregiudicanti, metterei - a differenza  di Locchi - proprio quella coda di integralismo con la quale si era provveduto a organizzare la presenza del “pubblico” nella gestione delle strutture del welfare e non solo. Qui (non è solo umbra ma è anche umbra) si paga la responsabilità di aver fatto cadere nel vuoto l’allarme berlingueriano sull’occupazione partitocratica degli apparati pubblici. L’abbiamo intesa come Questione morale e ne abbiamo ricavato soltanto il pur nobile principio del non rubare e del non arricchirsi personalmente;  ma non la rinuncia ad una visione che sopravviveva alla fase ideologica dell’espansione del pubblico, per diventare funzionale ad una visione consociativa e ai posizionamenti di potere,  interni e fra i partiti. E se bisogna  riconoscere che molti processi di terziarizzazione hanno fatto del potere pubblico l’agente principale  di mantenimento del  consenso alla sinistra di governo, questo ha determinato quasi naturalmente il superamento dai canoni solidaristici di classe sulle cui basi era cresciuta, nell’ Umbria contadina e rurale, la sinistra. Era  possibile sottrarsi a queste dinamiche ? È stato difficile quando non abbiamo saputo caratterizzarle in termini civicamente e qualitativamente nuovi. Purtroppo, quella umbra e delle altre " regioni rosse " è  stata una sinistra che - anche nel contesto dell’esperienza del centrosinistra e del CAF -  è sopravvissuta in termini di governo locale  attraverso un compromesso di potere basato su due partiti che culturalmente ed ideologicamente si andavano sempre più  allontanando.  È venuta così meno una visione programmatica unitariamente ispirata, sia amministrativamente che politicamente. Ci si è così limitati  a  competere  con i propri alleati nei governi locali in modi che si sono espressi sostanzialmente in termini subalterni  nel rapporto con il  sistema degli interessi - più o meno “ forti”- che, dentro la crisi generale del sistema politico, stavano vantando  un rovesciamento di egemonia nella società. Quando, avrò finito di sistemare l’archivio di mio padre, potrò rendere conto esemplificativamente di cosa questo abbia comportato sul piano del respiro politico e civile , la rimozione, profonda davvero, di quanto avevamo ereditato dalle positive esperienze legate alle elaborazioni proprie di un partito gramsciano e togliattiano.  Un partito capace di  pensarsi capace di coniugare in modo originale il rapporto con i diritti e la democrazia. Un partito capace di innervare  di questa ambizione le scienze, la cultura,  per metterle a disposizione  di un originale modo di governare le periferie, non limitandosi ad amministrarle. Ma la sconfitta storica del socialismo non è rimasta  senza conseguenze, anche per un partito come il Pci e i suoi derivati.
Non si può fare  colpa aI gruppi dirigenti centrali e periferici di  avere  avuto consapevolezza del cambio di fase. Piuttosto,  invece, gli si può imputare di non aver svolto, dentro questa consapevolezza,  quella rivoluzione civica tanto necessaria, quanto oggettivamente possibile ed affascinante nella sua complessità, di cui il Paese aveva una necessità inderogabile. Eppure la  sinistra avrebbe potuto farlo proprio dove  nella realtà segnate culturalmente dal suo  governo. È prevalsa, dopo Occhetto, la scelta di gestire comunque un Potere capace di  produrre benessere e consenso, nonostante “mani pulite” avesse evidenziato tutti gli anacronismi, oltre che della politica, del più generale sistema economico e istituzionale . Che tale è rimasto nel ventennio della “ seconda repubblica “ . Cosicché oggi non riusciamo ad uscire dalla crisi generale prodottasi  nel 2008 e nel 2011. Del resto non è facile, in un paese corporativo e consociativo, coniugare civismo e consenso. Chi ci ha provato non è politicamente sopravvissuto .  Perché  la prima vera rottamazione non ha riguardato i nostalgici del socialismo, ma i berlingueriani più laici, che ci stavano provando a fare quel percorso impegnativamente riformatore : a passare dalle parole - che pure si dicevano -  ai fatti . Molte cose potrei dire a questo punto sul Pd di Renzi o “ de noialtri”  Aspetto la prossima puntata . Quella che Alberto potrebbe titolare: “ Chi ha voluto uccidere il Pd nella culla? “

 

Gianfranco Pannacci

Condividi