di Leonardo Caponi

 

Che succederà a Cuba, dopo il “disgelo” con gli Stati Uniti? Anche l’ultima oasi del comunismo è destinata a (ri)cadere sotto il controllo degli Usa, a cambiare con la forza dei dollari e far diventare definitiva la vittoria del liberismo nel mondo? La comunità internazionale, a prescindere dalla risposta che ciascuna componente auspica o immagina per questi interrogativi, ha gioito per la nuova pagina che si è aperta nelle relazioni tra i due Paesi. Gli unici a mantenere i musi lunghi sono stati gli oltranzisti dello scontro, tra i quali i “dissidenti” cubani. Intervistato al Salone del Libro di Torino, Leonardo Padura Fuentes, bravo scrittore dalla penna facile fino ad essere logorroica, che ha tra l’altro recentemente ricostruito un rapporto meno conflittuale col governo, ha detto che l’isola è ancora dominata dalla “paura”. Lì per lì non si è capito a cosa effettivamente alludesse, perché ha parlato di paura dell’umidità dell’aria, degli scarafaggi e del “potere”. Ora, se c’è qualcosa che chiunque vada a Cuba può constatare, è l’allegria e la giovialità del suo popolo; tutto il contrario, insomma, di quell’immagine di “grande galera” che la pubblicistica e i media occidentali hanno ostinatamente mantenuto negli anni.

   La gran parte dell’intellettualità italiana si è invece schierata con i fautori dell’incontro. Molta di essa fu inebriata, a suo tempo, dal fascino della “Revolucion”. E’ curioso e sorprendente, però, notare le preoccupazioni che vengono espresse circa il ritorno di Cuba nella sfera di influenza americana per gli elementi “corruttivi” che porterebbe nella società del paese caraibico. E’ curioso perché si tratta di motivi inespressi, fino ad essere insospettabili, in tutti questi anni di messa sotto accusa del “regime” castrista e che forse ritornano a galla per l’effetto “sogno infranto”, cioè la caduta di una “diversità” o della sua idealizzazione, dal proprio mondo, subìto ma non condiviso.

     Senza sottovalutare i motivi più nobili del riavvicinamento, è certo che esso appare corrispondente a interessi molto “materiali” di carattere economico e politico dei protagonisti. L’America di Obama e i gruppi finanziari e industriali dominanti non possono tollerare oltre l’idea di essere estromessi da un Paese, alle porte di casa loro, nel quale cominciano ad abbondare i capitali (Cuba ha recentemente creato due aree di libero scambio) russi e, soprattutto, cinesi. Questo elemento ha relegato in secondo piano gli oltranzismi, peraltro mitigati dal cambio di generazioni, della pur potente lobby dei fuoriusciti cubani in Florida. Cuba per altro verso, pur dopo una strenua e quasi eroica resistenza, esce stremata dal cosidetto “periodo especial”, cioè le ristrettezze che hanno fatto seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Il popolo dell’isola, piuttosto che aspettare gli americani come “liberatori”, stereotipo occidentale  che non ha fondamento nella realtà, spera nell’arrivo di nuove risorse e, soprattutto nell’allentamento dei vincoli imposti alle “rimesse” dei fuoriusciti i quali, in base ad una legge federale, hanno diritto, dal momento in cui arrivano negli States, ad una sovvenzione pubblica. La Chiesa cattolica, dal canto suo, oltre a veder accresciuto il suo prestigio, scommette su un’evoluzione politica dell’isola che il “muro contro muro” non è stata in grado di ottenere.

   Che succederà, dunque? La forza corruttiva del danaro travolgerà l’ultimo tentativo di un modello diverso di vivere? I cubani, tutti, sono molti gelosi della loro sovranità nazionale e il “solito” milione e mezzo di persone che hanno sfilato a L’Avana lo scorso Primo Maggio sotto una specie di diluvio universale (solo “costretti” dal regime?) ne sono la plastica testimonianza. La partita pare, dunque, aperta. L’ideale sarebbe l’avanzamento e la modernizzazione di Cuba, facendo salve l’autonomia politica e le sue innegabili e riconosciute conquiste sociali. Questo dicono e hanno, probabilmente, in mente Raoul e l’attuale dirigenza cubana. Tutti dovrebbero forse tifare perché anche l’ultimo sogno non sia infranto.

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