Di Carlo Giacchè

PERUGIA - Il caso di Antonio Leandri, assurto nuovamente alla cronache in margine alle conclusione della perizia psichiatrica disposta dal giudice, mi offre l’occasione per una riflessione sulla tragedia che lo ha coinvolto e per rappresentare alla pubblica opinione, a nome non solo mio personale ma anche dei familiari e dei tanti suoi amici che tali sono rimasti, un contesto più corretto nel quale inquadrare il drammatico cruento parricidio, tragico epilogo di una assurda, incredibile vicenda che affonda lontane radici nel disastrato contesto familiare di Antonio.

E’ bene premettere, a prevenzione di ogni equivoco, che quanto segue non vuole e non può essere, in alcun modo, la giustificazione di un delitto per il quale Antonio è doverosamente sottoposto ad un giudizio che segue il suo corso, di cui la perizia citata è un momento, per fortuna non il solo, necessitando l’intera vicenda di essere inquadrata puntualmente in una storia decennale di soprusi, violenza fisica e morale, indifferenza.
 Antonio è il terzo figlio di una famiglia che non c’è mai stata. Morte in tenerissima età le due sorelline, Antonio scopre di essere venuto al mondo senza l’amore del padre che, come testimonia la madre quand’era in vita, non lo ha mai tenuto in braccio, occupato solo dal suo lavoro nei boschi e dal suo vizio ossessivo verso l’altro sesso.

Antonio è da sempre la vittima di continue violenze non solo psicologiche, provocazioni e umiliazioni che il padre, preoccupato solo di soddisfare per le proprie morbose ossessioni ossessioni, da sempre ha riservato al figlio e all’intera famiglia.
La madre, donna buona e religiosa ma priva di energia, non è capace di sottrarre il figlio a questa insostenibile pressione; dapprima schierata con il marito nel disperato tentativo di redimerlo e di ricondurlo ai suoi doveri familiari, poi si arrende e finalmente condivide con Antonio la reale natura del padre di cui gli conferma l’immorale condotta, i continui adulteri, la sostanziale estraneità al nucleo e agli affetti familiari
Mentre Antonio si allontana da casa, sfinito dalle incessanti prevaricazioni del padre, rifugiandosi per oltre dieci anni in un misero tugurio, la madre –già debilitata da gravi crisi depressive causate dal disfacimento familiare, è colpita da un mare incurabile.
Antonio è disperato, vede la sua vita sciogliersi tra un padre padrone e una mamma sempre più debilitata e impotente, e pensa perfino al suicidio, idea dalla quale rifugge per non caricare la madre di un altro dolore.
Antonio, nell’abituale indifferenza del padre, si fa carico come sempre e da solo di ogni cura e premura verso la madre, per oltre 5 anni, fino alla sua morte. Per il dolore e la disperazione seguita alla perdita del suo unico punto di riferimento, due mesi dopo Antonio verrà colpito da una profonda depressione e poi da un grave infarto.

Dalle sue più intime riflessioni, affidate alla memoria di un PC, emerge un lungo angosciante vissuto ricco di lacerazioni, di sofferenza e disperazione insospettabile anche tra i suoi più intimi amici come tra i conoscenti, che pur consci del suo persistente disagio , testimoniato da estemporanee iniziative restano tutti sbigottiti per l’epilogo cruento di cui nessuno aveva colto il minimo avviso.
Antonio ha sempre cercato un rapporto con il padre, al quale ha assicurato, fin a poche ore dal tragico evento, tutte le attenzioni e le premure di un figlio devoto, e pur nel frattempo coinvolto nell’affetto di una amorevole compagna, non mancava di riservare giornalmente buona parte del suo tempo ai suoi doveri di figlio premuroso e attento. Si era occupato, in ultimo, anche della difesa dall’accusa di violenza sessuale rivolta al padre 88enne da una giovane extracomunitaria.

Questo è veramente Antonio: chi lo conosce non ha potuto riservargli altro che stima e affetto, vuoi per la sua innata bontà, onestà, simpatia, sincerità, grande cultura come per la sua profonda moralità derivante dall’educazione religiosa (è diplomato anche in teologia) avuta unicamente da sua madre.
Qualcuno ha detto che i più grossi errori si fanno sempre per amore. Antonio, nonostante tutto, amava suo padre e voleva essere riamato e proprio l’amore non ricambiato, l’amore rifiutato, l’amore filiale deriso possono contribuire a interpretare correttamente il fatto cruento, il letargo della volontà e della ragione, la psicopatologia crescente che lo ha sicuramente segnato e condizionato.

Per queste ragioni non ci convince l’esito della perizia che, come puntualmente osservato dal consulente della difesa Prof. Francesco Bruno, presenta una evidente profonda contraddizione tra la premessa, orientata al calvario esistenziale di Antonio e alle possibili conseguenze sua sulla psiche e le conclusioni finali che incredibilmente escludono ogni rapporto tra le dolorose esperienze infantili e l’epilogo cruento di una vicenda familiare di anche Antonio è una vittima.

Queste sono le ragioni per le quali noi tutti continuiamo a rivolgere ad Antonio amicizia e affetto, aspettando la sua certa rinascita, la guarigione dal suo disagio psichico ed il suo ritorno ad una vita serena, che era ed è la sua unica vera aspirazione.


 

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