Questa estate la questione “ caporalato “ in agricoltura ha sfondato il muro dell’informazione nazionale.

I fatti tragici che hanno riguardato la morte di lavoratrici sfruttate fino allo estremo, e il vero e proprio schiavismo in agricoltura, ottanta e più anni dopo le battaglie di Giuseppe Di Vittorio, devono far riflettere e  far assumere iniziative che stronchino la mercificazione delle persone ridotte in vere e proprie condizioni di totale subalternità.

Il Governo su sollecitazione della Flai–Cgil ha promesso iniziative di contrasto.

Vedremo se dalle parole si passerà finalmente ai fatti costituendo veramente una rete del mondo agricolo basato sulla qualità e sui diritti.

Di fronte a questa attenzione nuova dei mass media nazionali non vorremmo però che passasse l’idea che il fenomeno riguardi solo le regioni meridionali dalla Calabria, alla Puglia, alla Campania.

Non è più così, infatti siamo in grado di dimostrare che certe pratiche riguardano anche le regioni del centro nord, tra cui l’Umbria.

Nei mesi scorsi si è verificato proprio nella nostra Regione il consolidarsi di forme di caporalato soprattutto nell’agricoltura e con una incidenza meno rilevante nel settore dell’edilizia.

Soprattutto nella coltivazione del tabacco nell’area del marscianese, ci sono imprenditori, meglio sarebbe definirli agrari, che utilizzano lavoratori del terzo e del quarto mondo e, con il ricatto e la pressione del permesso di soggiorno, li si costringe a ritmi di lavoro che vanno dall’alba alla sera, e che a una regolarità formale delle buste paga fanno corrispondere trattenute per l’utilizzo indotto di veri e propri tuguri, dove dormire, sempre di proprietà dello stesso titolare. Questi lavoratori stagionali sono costretti  anche a farsi carico delle spese per il trasporto dall’alloggio ai campi di coltivazione del tabacco, addirittura a pagarsi l’acqua minerale, con il risultato finale che la loro busta paga risulta più che dimezzata.

E in questo ambito importante e del tutto deleterio risulta essere il ruolo e la funzione dei caporali che anche nella nostra regione sono adibiti a questa funzione di vero e proprio sfruttamento.

Il fenomeno non è ridotto solo alla coltivazione del tabacco ma riguarda altre produzioni e, nella crisi che non è assolutamente finita, rischia ulteriormente di allargarsi.

Per questo è importante accendere i riflettori anche nella nostra regione per evitare il diffondersi ulteriore di queste pratiche e per stroncare ogni forma di imbarbarimento del mondo del lavoro di cui il caporalato rappresenta il fenomeno più preoccupante.

Anche di questo dovrebbe ragionare una sinistra degna di questo nome.

Mario Bravi

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