È “l’insoglio”, quel luogo acquitrinoso in cui si voltolano i cinghiali, “l’oggetto da contendere”. Ci sono una penna, quella di Giuseppe Mattioli – ex-impiegato della Perugina, da sempre impegnato politicamente nella sua regione, l’Umbria, autore, fra gli altri, di articoli di carattere sindacale e politico, e insignito, nel 1993, della Stella al Merito, col titolo di Maestro del Lavoro, e, nel 1996, della nomina di Cavaliere al Merito della Repubblica – e uno schioppo, quello del fratello Rolando, protagonista indiscusso de L’insoglio, edito quest’anno per i tipi della Futura Edizioni. Ma ci sono anche gli amori di Rolando, le sue donne, le sue gesta, le regole di una società matriarcale, quella degli anni Cinquanta del secolo scorso, ad irrobustire i tratti di una narrazione “umile, ma non modesta, discreta, che non intende fare il verso ai grandi della letteratura”.

“La narrazione discreta dello spaccato di un’Italia vicina a noi, e al contempo lontana, di una toponomastica scomparsa, di una caccia nobile, ma non aristocratica”: è stato questo, nei giorni scorsi, in sala della Vaccara di Palazzo dei Priori, a Perugia, il commento del relatore Daniele Ubaldi, direttore di Perugia Online e responsabile dell’Ufficio Stampa Regionale di Federcaccia, sulla prima fatica letteraria di Giuseppe Mattioli, “una storia d’amore raccontata a quanti, e non credo siano pochi, hanno il desiderio di conoscerla: l’amore per i propri familiari passati e presenti, per gli amici che c’erano e che ci sono ancora, per una vita sorretta da valori semplici e schietti e da un’etica al tempo stesso elementare e rigorosa”, secondo la penna di Nicola Miriano, che ha curato l’introduzione. “Una caccia, la più pericolosa, quella al cinghiale – ha proseguito Ubaldi – che nel libro assume i connotati della lotta di classe, con i latrati dei cani, le ferite inferte agli animali e ai cacciatori. L’opera ripercorre, con un linguaggio umile, come le origini dell’autore, la nascita e la progressiva diffusione della pratica venatoria in Umbria. Una pratica, questa, che proviene dalla vicina Toscana, e che segue i mutamenti della figura del cacciatore, di un certo stile di vita, di un certo modo di fare agricoltura. Il tutto, scandito lentamente dal ciclo delle stagioni, dalla vendemmia, dalla potatura, dal susseguirsi di luoghi – Perugia, Olmo, Cannara, etc. –, che a volte assumono i connotati di una reminiscenza, anche nella toponomastica. C’è, in ultima istanza, una antropomorfizzazione dell’interland perugino”. Antropomorfizzazione e approccio antropologico che hanno caratterizzato la lettura critica della seconda relatrice della conferenza stampa di presentazione di oggi, 8 settembre, Barbara Cesaretti, di Umbriadomani: ha focalizzato la sua attenzione sui valori veicolati dalla società matriarcale degli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, Cesaretti, che ha fatto leva sulla società, tutt’altro che “liquida”, per dirla con Bauman, della famiglia di Rolando.

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