La valutazione del medico che ieri sera ha visitato Alfredo Cospito, in sciopero della fame da 104 giorni, è allarmante e parla di pochi giorni di vita. Non sopravviverà se non verranno assunti provvedimenti in tempi brevissimi, cioè se non gli verrà revocato il regime speciale del 41 bis prima della Cassazione prevista a metà marzo, perché allora sarà troppo tardi.

Di fronte al precipitare della sua condizione clinica speravamo che qualcosa si stesse muovendo a livello governativo e che il ministro Nordio lanciasse qualche segnale di apertura, dato che è nelle sue mani la revoca della norma, ma invece prosegue la linea della fermezza, come se Cospito fosse un capoclan della mafia. Le dichiarazioni enfatiche uscite dal Consiglio dei Ministri di ieri sullo “Stato che non scende a patti con gli anarchici” appaiono smisurate, fuori luogo, ridicole. Buone a sventolare la bandiera dell’ordine e della disciplina mentre il degrado dell’intero sistema carcerario è sotto gli occhi di tutti, la giustizia fa acqua da tutte le parti, il paese va a rotoli. Strumentali ad alimentare quel clima velenoso giustizialista e legalitario che negli anni come una valanga ha imbarbarito il nostro paese, trovando troppo spesso terreno fertile anche in pezzi di sinistra. Arretrare sul piano del garantismo, invece che farne una discriminante culturale e politica, ci ha portato al punto in cui siamo, e non da oggi. Al punto in cui Nordio del caso Cospito se ne lava le mani e lascia la decisione alla Cassazione.  Forse il ministro della giustizia fa finta di non ricordare quello che conosce esattamente per il ruolo che ricopre. Qui non si tratta di mediare e trattare con gli anarchici, ma di far valere quello che è scritto nella Costituzione, che parla di stato di diritto e che all’articolo 27 recita “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Lo Stato e le sue istituzioni, le sue strutture e i suoi apparati, hanno l’obbligo di tutelare le vite che la giustizia consegna alla pena detentiva, a prescindere dai reati contestati o compiuti. Ad assumersi questa responsabilità è chiamato oggi il Governo, e tutti quelli che da lì straparlano di diritto alla vita, affinché Alfredo Cospito venga messo nelle condizioni di accettare di vivere.  Ci auguriamo che ciò accada.

Resta aperta poi la domanda sul 41 bis, se sia o meno un regime detentivo rispondente al dettato costituzionale e degno di un paese civile. Per tanti giuristi e giuriste, per chi ha approfondito il tema, visitato le carceri italiane, parlato con detenuti, detenute e operatori, non lo è. Sarebbe utile che da questa tormentata vicenda si aprisse una discussione seria sull’argomento.

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