La disoccupazione a settembre resta attestata all’11,1%. Insomma non cala. Sostenere che è stabile francamente suona davvero sgradevole pensando a coloro che sono in questa condizione e che farebbe assai volentieri a meno di questa presunta …stabilità.

Del resto le illusioni in questo campo hanno le gambe corte. L’occupazione che aumenta è dovuta principalmente al lavoro a termine, quello stabile diventa una sorta di ruota di scorta. Risalgono perfino gli inattivi il cui calo era stato salutato, giustamente, come un segnale di miglioramento. Rispetto ad un anno fa il quadro della situazione è ancora più chiaro: dei 387 mila occupati in più nel lavoro dipendente ben 361 mila sono a termine, mentre continua a diminuire il numero degli indipendenti con un allarmante -60 mila unità, che a quanto pare però non commuove nessuno. Ma il problema più serio riguarda la classe di età che va dai 35 ai 50 anni che in un anno perde 110 mila unità e la cui causa non può essere solo di carattere demografico.

La stagione degli incentivi, ormai terminata, consegna questo lascito che richiama la necessità di interventi strutturali di maggiore spessore di quelli escogitati fino ad ora. Dalla manovra invece giungono segnali che tendono a sostenere la congiuntura favorevole, nulla di più.

E la pioggia di bonus di cui si è seminata come se fosse un orto di stagione, non depone a favore di un’azione politica che voglia guardare oltre l’appuntamento elettorale.

È perfino sorprendente che non ci sia stata finora l’occasione vera per un confronto fra Governo e parti sociali con lo scopo, non facile certo, di individuare una direzione di marcia. Incontri ce ne sono stati, ma finora non sembra che abbiano fornito indicazioni utili a fare un salto di qualità.

L’andamento della nostra economia resta lento ed uno degli indicatori che segnalano questo stato di cose è quello dell’inflazione che ad ottobre registra una nuova battuta di arresto. Se nulla cambiasse fino alla fine di dicembre l’inflazione annua si fermerebbe all’1,2% e quella di fondo non andrebbe oltre lo 0,7%. Il guaio è che nel frattempo il carrello della spesa che bussa alle tasche delle famiglie mostra una dinamica più sostenuta. In questo senso questo dato accresce ancora di importanza il quesito che riguarda il modesto aumento dei salari che da un lato frenano l’inflazione e dall’altro non tengono il passo dei prezzi dei beni di più largo consumo. Ancora una volta Draghi, che non parla solo per le orecchie italiane, dimostra di aver ragione nel sollevare una questione salariale. Altro tema, inutile dire, sul quale finora la disattenzione della politica e dell’imprenditoria è notoriamente ai massimi. C’ è chi si vanta monotonamente dei risultati acquisiti senza suscitare reali speranze, c’è chi contesta tutto evitando di indicare alternative comprensibili. Ma oltre non si va. Ed i problemi di fondo restano tali.      

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