di Giorgio Airaudo

Con una certa dose di pre­veg­genza, vista la mar­tel­lante cam­pa­gna estiva a cui abbiamo assi­stito sulle pen­sioni, sulla libertà di licen­zia­mento, fino all’ultimo assalto all’art.18, con la cele­bra­zione del fan­to­ma­tico «modello spa­gnolo» di pre­ca­riz­za­zione come un bal­samo pro­di­gioso per rilan­ciare le eco­no­mie euro­pee, Ste­fano Fas­sina giu­di­cava i prov­ve­di­menti di Poletti non riso­lu­tivi nella guerra con­tro la disoc­cu­pa­zione, e imma­gi­nava (giu­sta­mente, con il senno del poi) che potes­sero invece aprire la strada alla can­cel­la­zione dell’art. 18 e al supe­ra­mento del con­tratto nazionale.

Lavoro e Libertà — sot­to­ti­tolo "La sini­stra nella grande tran­si­zione" (edi­tore Impri­ma­tur) — è il bel titolo di un libro inter­vi­sta di Ste­fano Fas­sina ex vice­mi­ni­stro del governo Letta oggi espo­nente del dis­senso a Renzi nel Par­tito demo­cra­tico. «Fas­sina chi?» disse Renzi, pro­vo­cando le sue dimis­sioni dagli organi diri­genti del Pd, e sot­to­va­lu­tando il suo rigore, la capar­bietà con cui in que­sti anni ha con­ti­nuato a soste­nere una bat­ta­glia con­tro­cor­rente fatta di idee ma anche di numeri, ricca di pole­mi­che come quella con cui — quando era ancora al governo — Fas­sina mise in discus­sione i dogmi della Banca cen­trale susci­tando una nuvola di reazioni.

Que­sta lunga inter­vi­sta rea­liz­zata da Roberto Ber­toni e Andrea Costa che sin dal suo titolo richiama volu­ta­mente un sag­gio di Bruno Tren­tin del 1994, Lavoro e libertà nell’Italia che cam­bia (Don­zelli), è un ottimo via­tico per con­ti­nuare su que­sto ter­reno . Si tratta di un testo da bat­ta­glia poli­tica che cerca di riem­pire un vuoto di ela­bo­ra­zione e di pro­get­tua­lità poli­tica, quello che con una dose di iro­nia cau­stica — ma anche leg­ger­mente autoi­ro­nia — Fas­sina nel libro attri­bui­sce alle quat­tro o cin­que attuali mino­ranze del Pd rap­pre­sen­tan­dolo con l’efficace descri­zione che Toni Ser­villo fa di Jep Gam­bar­della, il suo alter ego de La Grande Bel­lezza: «Un vuoto in cerca di con­te­ni­tore». Un para­gone impie­toso che dovrebbe far riflet­tere le pos­si­bili “nuove mino­ranze” in arrivo nel Pd, dalla dia­spora di Scelta Civica agli ultimi pre­ten­denti di Led. Fas­sina rico­no­sce a que­ste aree le dif­fi­coltà di let­tura poli­tica e di inter­pre­ta­zione dei nodi sol­le­vati dalle ele­zioni poli­ti­che del 2013, pas­sando per le ele­zioni del pre­si­dente della repub­blica (e l’apparizione dei famosi 101 fran­chi tira­tori demo­cra­tici che impal­li­na­rono Prodi), fino alla trau­ma­tica con­clu­sione del governo Letta e al suc­cesso del Pd di Renzi alle euro­pee 2014.

Nella sua inter­vi­sta Fas­sina ripro­pone l’orizzonte di un neou­ma­ne­simo labu­ri­sta già pre­sente nell’ultimo capi­tolo del suo Il lavoro prima di tutto (pub­bli­cato nel 2014. Il chiodo su cui l’ex vice­mi­ni­stro del Pd con­ti­nua a bat­tere è quello di una pos­si­bile sin­tesi tra la cul­tura col­let­tiva social­de­mo­cra­tica e quella dell’attenzione alla per­sona pro­pria del pen­siero cat­to­lico, e soprat­tutto sull’idea di tra­sfor­mare que­ste due tra­di­zioni in una chiave per com­pren­dere il deli­cato rap­porto tra lavoro e libertà nel terzo mil­len­nio. La parte poli­ti­ca­mente più intri­gante e attuale dell’intervista — ovvia­mente — riguarda il giu­di­zio e la disa­mina cri­tica e pun­tuale che Fas­sina fa del decreto Poletti.

L’origine di que­sto equi­voco per cui meno garan­zie pro­dur­reb­bero magi­ca­mente più occu­pa­zione, è la testar­dag­gine con cui si con­ti­nua a pro­ce­dere su una strada acci­den­tata e miope: non potendo sva­lu­tare la moneta si sce­glie di sva­lu­tare il lavoro. Si con­ti­nua ad inter­ve­nire sull’offerta quando tutta la crisi si con­cen­tra intorno al tema di una dram­ma­tica dimi­nu­zione della domanda. Fas­sina svi­luppa que­sta rifles­sione fino a dichia­rare la neces­sità di supe­rare il totem del fiscal com­pact, anche attra­verso lo stru­mento di un “refe­ren­dum pos­si­bile” per arri­vare ad abro­gare l’accordo.

L’Europa sulla rotta del Tita­nic (para­fra­sando il rigo­roso e bril­lante sag­gio di Vla­di­miro Giac­ché) e i rife­ri­menti alla cre­scita della dise­gua­glianza dimo­strata dal pon­de­roso lavoro di Tho­mas Piketty con il suo Il capi­tale nel XXI secolo, con­sen­tono a Fas­sina di affer­mare che la crisi dell’Euro sia tutt’altro che con­clusa. Spiega il diri­gente del Pd: "Il capi­ta­li­smo, in via ordi­na­ria, amplia le disu­gua­glianze e tende a con­cen­trare la ric­chezza nelle pic­cole fra­zioni piu‘ ric­che della popo­la­zione". E ancora: "La disu­gua­glianza intra– gene­ra­zio­nale è di gran lunga mag­giore della disu­gua­glianza inter­ge­ne­ra­zio­nale. Altro che padri con­tro figli. È la stra­grande mag­gio­ranza dei padri (e madri) lavo­ra­tori (e lavo­ra­trici) — spiega l’ex vice­mi­ni­stro — a per­dere con­di­zioni eco­no­mi­che e iden­tità sociale. Sono i loro figli e le loro figlie, non i figli in gene­rale, a subirne le conseguenze".

Fas­sina nella sua inter­vi­sta pro­pone dieci punti di bat­ta­glia poli­tica in Europa e per l’Europa, che evi­tino la crisi finale del wel­fare state e inver­tano il vento delle poli­ti­che neo­li­be­ri­ste rispetto a cui la sini­stra socia­li­sta e stata sino ad ora o subal­terna o disar­mata. Fas­sina parla della neces­sità di supe­rare il vin­colo al pareg­gio di bilan­cio, e pro­pone un social com­pact che "pre­veda un sala­rio minimo dif­fe­ren­ziato in per­cen­tuale al Pil pro capite di cia­scun Paese" e "un piano per la re-distribuzione del tempo di lavoro, unica strada per rias­sor­bire la dram­ma­tica disoc­cu­pa­zione, soprat­tutto gio­va­nile".

Infine il diri­gente del Pd si dedica al tema della ristrut­tu­ra­zione del debito pub­blico ita­liano sof­fer­man­dosi in par­ti­co­lare sulle recenti pro­po­ste dell’economista ita­liana Lucre­zia Rei­chlin, per finire con l’immaginare — attra­verso gli scritti di Mariana Maz­zu­cato — l’avvento di uno «stato impren­di­tore». Le ricette di Fas­sina, ovvia­mente, suo­nano come bestem­mie rispetto all’egemonia del van­gelo libe­ri­sta con­tem­po­ra­neo: inter­vento pub­blico nella poli­tica indu­striale per soste­nere l’innovazione dei pro­dotti e dei pro­cessi, neces­sità di varare un glo­bal new deal che rimetta al cen­tro il valore del lavoro, della per­sona ed il bene comune in alter­na­tiva ai disa­stri pro­vo­cati — ed ancora in atto — dalle poli­ti­che con­ti­nen­tali di austerità.

Que­sto libro va letto e con­si­de­rato, come uno stru­mento utile anche in pre­vi­sione dell’autunno e della bat­ta­glia poli­tica che si pre­para. Va con­si­de­rato un incen­tivo, un memo­ran­dum sulla neces­sità di con­fron­tarsi — adesso — intorno alle alter­na­tive al rigo­ri­smo di bilan­cio. Que­ste poli­ti­che ci hanno por­tato e ci stanno man­te­nendo nell’occhio di ciclone della crisi, e il governo Renzi — al di là delle bat­tute sui fami­ge­rati «com­piti a casa» — non ha messo in campo nes­suna inno­va­zione di sostanza, distin­guen­dosi invece per una con­ti­nuità di con­te­nuti con gli ese­cu­tivi pre­ce­denti. Quello che cam­bia, per ora, è solo la forma comu­ni­ca­tiva diversa, fare velo­ce­mente altro per con­ti­nuare a fare lo stesso.

Non si può non dire che la guida ita­liana del seme­stre Euro­peo — fino ad oggi ine­si­stente per con­te­nuti e pro­po­ste — abbia dato segnali di discon­ti­nuità di cui la carica Fas­sina. E col­pi­sce che nel testo su que­sti temi si imma­gini una inter­lo­cu­zione limi­tata al campo esclu­sivo del Par­tito demo­cra­tico, quando il tema della rico­stru­zione di un pen­siero e di pro­po­ste che ripro­pon­gano al paese una sini­stra, ripar­tendo dal lavoro, potreb­bero (e dovreb­bero) andare ben oltre il Pd, al di la dei con­te­ni­tori attuali ed elet­to­rali. Anche per­ché — e l’agenda poli­tica lo sta già dimo­strando — serve un accu­mulo di forze plu­rali per rom­pere l’egemonia mono­li­tica del rigo­ri­smo, biso­gna imma­gi­nare la rico­stru­zione di un nuovo rap­porto di forza che dal paese reale imponga una agenda alter­na­tiva, anche attra­verso il risve­glio del sin­da­cato, adatta a segnare le scelte da com­piere nel tempo della crisi.

Se si vuole pas­sare dallo spread della finanza allo spread del lavoro, accom­pa­gnando que­sto pas­sag­gio di sce­na­rio con diritti e libertà che non siano con­cessi ad oro­lo­ge­ria, serve altro. Serve un po’ più Ken Loach, e un po’ meno Jep Gam­bar­della, nella cas­setta degli attrezzi della sinistra.

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