di Alberto Burgio

La si può rac­con­tare come si vuole, ma quello mosso da Renzi nel comi­zio finale della Festa del Pd è stato un attacco con­tro i dis­si­denti e i recal­ci­tranti del suo par­tito. Un’invettiva det­tata dalla volontà di neu­tra­liz­zare ogni oppo­si­zione interna che nes­suna vischiosa prof­ferta uni­ta­ria può dis­si­mu­lare. Chi ha tra­dotto senza abbel­li­menti quel discorso ha evo­cato a ragione una pul­sione sterminatrice.

Che cosa abbia indotto il presidente-segretario ad affon­dare il colpo alla vigi­lia di un autunno a dir poco pro­ble­ma­tico non è chiaro. Può avere inciso la nota voca­zione auto­ri­ta­ria, forse all’origine del primo dra­stico calo di popo­la­rità che i son­daggi docu­men­tano. Può essersi trat­tato di un riflesso imme­diato della più com­ples­siva ten­denza in atto alla con­cen­tra­zione del potere nelle mani del lea­der mas­simo. Pos­sono aver pesato anche le cre­scenti dif­fi­coltà in cui si muove il governo, in mezzo al guado in tutte le ini­zia­tive sin qui assunte men­tre gli indi­ca­tori della crisi sociale vol­gono al peg­gio e la situa­zione eco­no­mica si fa sem­pli­ce­mente allarmante.

Può darsi che, alle strette, il gio­ca­tore d’azzardo bluffi e rilanci. Sta di fatto che è evi­dente l’intenzione di zit­tire bru­sca­mente i cri­tici — per­lo­più ricon­du­ci­bili alla com­po­nente post-comunista del Pd — se non di sba­raz­zar­sene una volta per tutte. Se que­sto è vero, sarà deci­siva la rispo­sta che la sini­stra demo­cra­tica darà a que­sta offen­siva. Deci­siva non sol­tanto per le vicende interne del Pd e per le sorti del governo, ma per il paese. Ne va della resi­dua pos­si­bi­lità di porre final­mente le pre­messe di un’inversione di rotta rispetto a quanto è acca­duto in que­sti sette anni di crisi e già nel corso del tren­ten­nio neoliberista.

Tutto dipen­derà, per così dire, dall’ordine del discorso. Sarà diri­mente la pro­spet­tiva nella quale ci si disporrà nella replica. Se si ragio­nerà (come sem­pre sin qui) in ter­mini imme­dia­ta­mente (ridut­ti­va­mente) poli­tici, o invece in chiave politico-storica: in un’ottica occa­sio­nale oppure epo­cale. Il che, a sua volta, rive­lerà la con­ce­zione di sé che la sini­stra del Pd è in grado di mobi­li­tare. Se, cioè, essa si vive essen­zial­mente — se non sol­tanto — come un set­tore del ceto poli­tico, pre­oc­cu­pato soprat­tutto della pro­pria per­si­stenza, oppure ha l’ambizione di con­ce­pirsi come un sog­getto poli­tico respon­sa­bile, in campo in una deli­ca­tis­sima fase di tra­sfor­ma­zione degli assetti di comando della società che vede in discus­sione le stesse sorti della demo­cra­zia in Ita­lia e in Europa.

Per rispetto della verità e di noi stessi, dob­biamo ammet­tere che l’esperienza scon­si­glia di nutrire sover­chie spe­ranze al riguardo. Ma non pos­siamo nem­meno esclu­dere che qual­cosa di nuovo accada, inter­rom­pendo una lunga sequenza di arre­tra­menti e di com­pro­mis­sione. Renzi ha il merito – se vogliamo – della bru­ta­lità. Nes­suno può nascon­dersi la radi­ca­lità del suo dise­gno, e ciò dovrebbe aiu­tare a capire che que­sto è uno di quei casi in cui la cau­tela mas­si­mizza i peri­coli. Se i suoi oppo­si­tori accet­tas­sero l’invito a col­la­bo­rare alla gestione della linea del segre­ta­rio, si con­se­gne­reb­bero in vin­coli al suo potere, fir­mando così la pro­pria estin­zione poli­tica di fatto. Al con­tra­rio, optare per l’autonomia, guar­dare in fac­cia la natura dello scon­tro, rac­co­gliere la sfida e lavo­rare per un pro­getto alter­na­tivo, tutto ciò sarebbe di certo molto rischioso. Ma potrebbe rive­larsi l’unica strada per sal­varsi, quindi la meno avventurosa.

Ma c’è un ma. Sce­gliere l’autonomia e il con­flitto implica un com­pito che il gruppo diri­gente post-comunista ha sin qui accu­ra­ta­mente evi­tato, e che appare oggi indif­fe­ri­bile. Non è pos­si­bile porsi come sog­getto alter­na­tivo al pro­getto restau­ra­tore del pre­si­dente del Con­si­glio senza fare un bilan­cio delle scelte poli­ti­che e cul­tu­rali com­piute a par­tire dai primi anni Ottanta, quando si abbatté sul paese la prima onda d’urto del rea­ga­ni­smo. E quando in tutta Europa le forze socia­li­ste avvia­rono — per ini­zia­tiva, appunto, dei pro­pri gruppi diri­genti — una muta­zione gene­tica che le avrebbe di lì a poco poste alla testa della «moder­niz­za­zione neo­li­be­ri­sta». Della rivin­cita del pri­vato sul pub­blico. Del capi­tale sul lavoro. Delle éli­tes sui corpi sociali. E dell’imperialismo mili­tare dell’Occidente sui prin­cipi di pace scritti nelle Costi­tu­zioni demo­cra­ti­che e antifasciste.

In tutto il comi­zio di Renzi a Bolo­gna c’è un ele­mento di verità, ed è l’attacco agli esperti e ai tec­nici che in que­sti vent’anni non hanno visto – o hanno finto di non vedere – che cosa stava acca­dendo. Lui, benin­teso, la regres­sione al nuovo regime oli­gar­chico sta facendo di tutto per acce­le­rarla. Come osser­vava Clau­dio Gne­sutta nel penul­timo inserto di Sbi­lancia­moci! pub­bli­cato dal mani­fe­sto, siamo nel pieno di una tran­si­zione orga­nica verso una società di mer­cato. Que­sto è l’obiettivo stra­te­gico della poli­tica eco­no­mica del governo, pra­ti­cata d’intesa con la buro-tecnocrazia comu­ni­ta­ria. Ma ciò non toglie che anche chi in que­sti vent’anni ha pre­ce­duto Renzi alla guida del centro-sinistra e in posti-chiave nel governo del paese ha lavo­rato in que­sta direzione.

Basti un esem­pio. Pier Carlo Padoan non è sol­tanto il mini­stro dell’Economia di Renzi, che chiede a gran voce altri tagli alla spesa e «riforme strut­tu­rali»: ridu­zioni del wel­fare, com­pres­sione dei salari e pri­va­tiz­za­zioni. È anche colui che ieri (l’anno scorso), da capo-economista dell’Ocse, recla­mava il taglio dei salari ita­liani, già tra i più bassi d’Europa. E che l’altroieri pre­stava i suoi ser­vigi come con­si­gliere eco­no­mico dei pre­si­denti del Con­si­glio Amato e D’Alema. Del resto, negli anni Novanta la muta­zione gene­tica della social­de­mo­cra­zia — o la sua eclisse — non è stata certo un’anomalia ita­liana. Se oggi il Regno Unito rischia di per­dere pezzi, ciò si deve in gran parte agli effetti social­mente deva­stanti del blai­ri­smo, a una con­ce­zione dell’efficienza e del pre­sunto merito che ha siste­ma­ti­ca­mente sacri­fi­cato i diritti sociali ai pri­vi­legi delle oli­gar­chie. Il che per con­tro non signi­fica che alli­nearsi alla ten­denza fosse ine­vi­ta­bile, quasi che un incoer­ci­bile destino impo­nesse di inna­mo­rarsi del neoliberismo.

Ripren­dere in mano la sto­ria di que­sti ultimi decenni è neces­sa­rio per­ché sol­tanto ponen­dosi sul ter­reno sto­rico è pos­si­bile com­pren­dere la por­tata del con­flitto che oggi attra­versa il Pd ren­ziano e, in gene­rale, le forze di quello che un tempo era il cen­tro­si­ni­stra. Di sicuro ripen­sare cri­ti­ca­mente alle scelte com­piute e agli errori com­messi è un tra­va­glio. Ma potrebbe essere anche un cimento libe­ra­to­rio, capace di dar vita a un’impresa di ben più vasta por­tata e per la quale var­rebbe dav­vero la pena d’impegnarsi.

Rac­co­gliere in tutte le sue impli­ca­zioni la sfida lan­ciata da Renzi non darebbe vita sol­tanto a un con­fronto tra le diverse anime del par­tito, indi­spen­sa­bile per resti­tuire dignità e cre­dito alle com­po­nenti che l’attuale lea­der­ship intende met­tere sotto tutela. Ne deri­ve­rebbe anche la ripresa del discorso inter­rot­tosi, oltre vent’anni fa, con lo scia­gu­rato sman­tel­la­mento del Pci. Che — quali che fos­sero le inten­zioni dei suoi arte­fici — ha inne­ga­bil­mente com­por­tato l’estinguersi di qual­siasi rap­pre­sen­tanza poli­tica del lavoro. E ne discen­de­rebbe altresì, con ogni pro­ba­bi­lità, un bene­fico som­mo­vi­mento dell’intero campo della sini­stra ita­liana, oggi fran­tu­mato in un arci­pe­lago di pic­cole orga­niz­za­zioni (pic­cole, benin­teso, e per­ciò inin­fluenti, anche per loro diretta responsabilità).

Met­tere al cen­tro della discus­sione e sot­to­porre a cri­tica un’idea di moder­nità che ha coin­ciso con l’abbandono del con­flitto sociale e di lavoro e col rein­stau­rarsi del potere pres­so­ché asso­luto del capi­tale pri­vato signi­fi­che­rebbe non sol­tanto riper­cor­rere i peg­giori anni della nostra vita ma anche ria­prire una pro­spet­tiva di lotta senza la quale è impen­sa­bile arre­stare la deriva post-democratica. Da qui oggi si può e si deve ripar­tire, sfrut­tando la radi­ca­lità dell’attacco ren­ziano. Per resti­tuire final­mente al paese una sini­stra poli­tica capace di stare in campo nel con­flitto in atto, ed evi­tare che a lucrare sui con­trac­colpi sociali della crisi sia, anche in Ita­lia, la destra neo­fa­sci­sta xeno­foba e razzista.

Condividi