di Stefano Fassina

25 gen­naio, la pos­si­bile vit­to­ria di Syriza può segnare un tor­nante sto­rico per le demo­cra­zie euro­pee. La posta in gioco è, innan­zi­tutto, la ria­ni­ma­zione della demo­cra­zia sostan­ziale dopo una lunga fase di iber­na­zione, dovuta a cause cul­tu­rali e poli­ti­che prima che eco­no­mi­che. Sul piano cul­tu­rale, viene sfi­dato in ter­mini com­pe­ti­tivi, spe­riamo vin­centi, il pen­siero unico di matrice libe­ri­sta.

Per la prima volta da decenni, in Europa, il par­tito in testa nelle rile­va­zioni di voto esprime un para­digma auto­nomo dal neo-liberismo, ver­sione hard (destre) o soft (sini­stre delle “Terze Vie”), e pro­pone una ricetta alter­na­tiva e rea­li­stica alla sva­lu­ta­zione del lavoro: taglio del debito; innal­za­mento della domanda aggre­gata, wel­fare uni­ver­sale, inve­sti­menti, regole meno squi­li­brate per i licen­zia­menti, redi­stri­bu­zione del red­dito a comin­ciare da un livello di dignità del sala­rio minimo. Per la prima volta da decenni, in Europa, il par­tito in testa nelle rile­va­zioni di voto svela, oltre al con­flitto eco­no­mico tra Stati, la natura di classe del con­flitto tra cre­di­tori e debi­tori, dove l’aristocrazia della finanza e dell’economia inter­na­zio­nale e interna, assi­stita dalle tec­no­cra­zie pre­sunte super-partes, afferma i pro­pri inte­ressi, in modo miope e feroce, con­tro le classi medie e il popolo del lavoro subor­di­nato, dipen­dente, pre­ca­rio o auto­nomo.

Per la prima volta da decenni, in Europa, l’alternativa pos­si­bile al neo-liberismo è popo­lare senza essere popu­li­sta e assume carat­teri pro­gres­sivi e non i segni nazio­na­li­sti e xenofobi.

Di fronte alla pos­si­bile vit­to­ria di Syriza, la rea­zione iste­rica dei cosid­detti mer­cati, in realtà ver­tici di enorme con­cen­tra­zione di potere finan­zia­rio, media­tico e poli­tico non è dovuta alle pos­si­bili per­dite eco­no­mi­che delle isti­tu­zioni mul­ti­la­te­rali e di alcuni Paesi euro­pei (i grandi cre­di­tori pri­vati sono stati già lar­ga­mente sal­dati). Sono ridi­cole le quan­tità in gioco nella comun­que ine­vi­ta­bile ristrut­tu­ra­zione del debito pub­blico greco. L’establishment trans­na­zio­nale è pre­oc­cu­pato per la rela­ti­viz­za­zione e il rico­no­sci­mento degli inte­ressi forti die­tro l’ideologia finora pre­sen­tata come pen­siero unico.

Dopo decenni di mar­gi­na­lità della poli­tica demo­cra­tica, pre­oc­cupa il ritorno attivo dei cit­ta­dini sul ter­reno dell’economia: luogo reso inac­ces­si­bile al demos in quanto impo­sto come a-politico e deter­mi­nato da logi­che ogget­tive e astratte dai valori e dagli inte­ressi mate­riali. Quindi, spa­zio da affi­dare a auto­rità “indi­pen­denti” per la poli­tica mone­ta­ria, a algo­ritmi “neu­tri” per la finanza pub­blica, all’autoregolazione per la finanza e alla dere­go­la­zione per i movi­menti di capi­tali e gli scambi di merci e servizi.

Insomma, la Gre­cia può inco­min­ciare l’arduo cam­mino di resti­tuire senso alla demo­cra­zia. Tre anni fa, il primo mini­stro Papan­dreou fu rimosso quando tentò la strada del refe­ren­dum sul pro­gramma det­tato per conto terzi dalla troika e sosti­tuito, come in Ita­lia, con un governo tec­nico. Qual­che giorno fa da Ber­lino, Fran­co­forte e Bru­xel­les sono tor­nati alla carica: "Ogni governo deve rispet­tare gli obbli­ghi con­trat­tuali del pre­ce­dente governo". Ma qui è il punto poli­tico: l’ambito e la por­tata degli accordi ini­qui e fal­li­men­tari finora attuati è tale da annul­lare ogni spa­zio di scelta demo­cra­tica.

E allora, per­ché fare le ele­zioni? Chi cerca dispe­ra­ta­mente un’altra strada per uscire dall’inferno della disoc­cu­pa­zione, del lavoro senza dignità, dell’impoverimento e della povertà per­ché dovrebbe votare quando nulla è da deci­dere? E, ancor di più, per­ché dovrebbe votare per una sini­stra che, come in Ita­lia, si è distinta e distin­gue dalla destra sol­tanto per il mag­gior senso di respon­sa­bi­lità nazio­nale nell’attuazione dell’unica agenda rite­nuta pos­si­bile? Qui sta la radice della cosid­detta anti-politica pas­siva (asten­sione dal voto) e attiva (voto anti-sistema): una rea­zione razio­nale dato che i par­la­menti nazio­nali sono sostan­zial­mente svuo­tati di fun­zioni.

Non è un caso che tutti i par­titi del varie­gato Pse, subal­terni da tre decenni al pen­siero unico libe­ri­sta, sono in grande dif­fi­coltà e fini­scono natu­ral­mente nelle grandi coa­li­zioni rap­pre­sen­ta­tive di una mino­ranza sem­pre più ristretta di elet­tori. Non è un caso che le spe­ranze di vit­to­ria della sini­stra siano ripo­ste su for­ma­zioni neo-nate fuori dall’alveo del socia­li­smo euro­peo (oltre a Syriza in Gre­cia, Pode­mos in Spa­gna).

Il col­lasso del Pasok rischia di anti­ci­pare un destino comune per il club dei socia­li­sti e demo­cra­tici euro­pei: la mar­gi­na­lità o la scom­parsa dove vi sono destre di sistema o la soprav­vi­venza come invo­lu­cro del par­tito dell’establishment dove non vi sono, come in Ita­lia. Spe­riamo che dalla Gre­cia arrivi un mes­sag­gio con­tro­cor­rente per la demo­cra­zia, per la dignità del lavoro, per l’eurozona e per la sini­stra. Je suis grec.

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