Stop and go. Il testo sulla dif­fa­ma­zione, appro­vato alla Camera nell’ottobre dell’anno scorso e rima­sto nella Com­mis­sione giu­sti­zia del Senato a lungo, è stato pron­ta­mente varato ieri dall’assemblea. Con qual­che modi­fica, tanto che richie­derà una terza let­tura. Evviva il bica­me­ra­li­smo, bistrat­tato in que­sta sta­gione amara. Almeno rimane la spe­ranza di qual­che cam­bia­mento. E già, per­ché l’articolato attuale non va. È vero che è stato accet­tato l’emendamento Cas­son sulle que­rele teme­ra­rie, ancor­ché assai edul­co­rato rispetto alla ste­sura originaria.

Ma almeno è qual­cosa, un pic­colo deter­rente rispetto alla ter­ri­bile moda di uti­liz­zare lo stru­mento della que­rela come forma di inti­mi­da­zione. Andrebbe più pun­tual­mente defi­nito il modo di vin­co­lare i que­re­lanti di pro­fes­sione, che dovreb­bero ver­sare una cau­zione significativa.

Natu­ral­mente non si sta par­lando del cit­ta­dino offeso e senza potere, bensì di coloro che sono usi ado­pe­rare il bul­li­smo media­tico. Tanto i noti tempi lun­ghi della giu­sti­zia ita­liana qual­che danno lo pro­vo­cano, anche se il cro­ni­sta risulta inno­cente: spese legali, viaggi, tra­sferte, nume­rose rot­ture di sca­tole. E a que­sto si aggan­cia il nodo dell’entità delle multe — com­mi­nate in luogo del car­cere — che pos­sono arri­vare a 50.000 euro. Forse gran parte del ceto poli­tico non cono­sce la realtà acre e dura del pre­ca­riato, dei free lance, dei nuovi schiavi del lavoro intel­let­tuale.

Il testo ha il merito indub­bio di abo­lire la bar­ba­rica deten­zione, in verità non appli­cata così spesso. Tut­ta­via, il prezzo dell’abolizione del car­cere non deve diven­tare una cen­sura di fatto. La verità dell’informazione ita­liana non è quella agiata degli anni andati, con tutele e mal­leve. Oggi, nell’era della crisi, chi scrive spesso è solo con la sua coscienza.

La dif­fa­ma­zione, è bene chia­rire, nella rou­tine quo­ti­diana non indossa le vesti brutte e insop­por­ta­bili di uno sgra­de­vole reato. Il rac­conto indi­ge­sto per lobby e poten­tati si col­loca di sovente sulla linea di con­fine, dove un avver­bio o un agget­tivo sono sus­sunti dalla noti­zia sco­moda. Ecco, la spada di damo­cle della multa e della richie­sta paral­lela di risar­ci­mento dei danni rischia di diven­tare una botta alla libertà. Un altro car­cere. Eppoi. La bizan­tina vicenda della ret­ti­fica, che diventa una sorta di zona franca, senza replica. Facile oggetto del desi­de­rio per ine­dite tipo­lo­gie di scrit­tori.

La ret­ti­fica è cosa seria, ma potrebbe diven­tare un boo­me­rang, costrin­gendo — tra l’altro — a impie­gare forze nume­rose per temer die­tro ad un pro­ba­bile genere let­te­ra­rio. E qui si aggan­cia l’altro punto dolente: siti e rete. È pos­si­bile che la Camera dei depu­tati abbia isti­tuito un bel gruppo di lavoro, pre­sie­duto da Ste­fano Ridotà, sul tema di Inter­net (che ha pro­dotto una seria Carta dei diritti e dei doveri, ora in con­sul­ta­zione on line) e che il Senato chiuda il caso: pari­fi­cando vec­chi e nuovi media? Insomma, la rete ci inter­pella su tre cul­ture giu­ri­di­che, pena l’irrilevanza delle grida man­zo­niane. Che c’entra il diritto all’oblio con la diffamazione?

Come mai il gruppo di 5 Stelle ha voluto l’omologazione tra off e on line? Chissà, la neb­bia si infit­ti­sce e il retro­gu­sto è amaro. Serve una rifles­sione attenta, prima di impa­stic­ciare una nor­ma­tiva vec­chia e ina­de­guata, che rischia di peggiorare.

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